Omelia (03-12-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Aspettiamo il Giudice che abbiamo giudicato Due domeniche or sono, riflettendo sulla venuta finale di Cristo per il giudizio definitivo, insistevamo sul fatto che esso non dovrà costituire per noi occasione di una spietata riprovazione finale da parte di un Cristo giudice severo atto a condannare inesorabilmente, ma piuttosto l'incontro con un Gesù amico e benevolo, ansioso di elargire ricompense a piene mani a tutti, ciascuno secondo i meriti ottenuti per il bene commesso. Fra l'altro il Gesù a cui andremo incontro al termine dei nostri giorni è lo stesso Risorto che siamo invitati a riscontrare adesso in ogni singolo avvenimento del quotidiano, il Gesù punto di riferimento della nostra vita che ci sprona alla fiducia e alla speranza, spronandoci alla carità operosa con la quale ci rendiamo suoi testimoni; si tratta dello stesso Signore che va riconosciuto e atteso tutti i giorni. Atteso tuttavia non solamente nella prospettiva del futuro parusiaco (della fine dei tempi) ma anche in ogni momento e situazione della nostra vita. Ora che cos'è l'Avvento se non l'attesa speranzosa e gioiosa che il Signore venga in noi e in mezzo a noi trovando spazio nella nostra vita e motivandone ogni atto? Come già ci siamo accorti, le Letture di oggi sono simili a quelle di due settimane fa' e questo non va considerato un caso: la stessa attesa del Signore giudice definitivo è quella che stiamo per intraprendere in queste Settimane di Avvento nelle quali predisporremo lo spirito all'incontro di comunione con Lui che vuole rendersi partecipe della nostra vita. Vi è però una differenza rilevante: l'oggetto della nostra attesa sarà la celebrazione di Gesù Bambino, cioè di Cristo Signore e salvatore che decide di abbracciare tutte le vicende umane sin dall'umiltà della fanciullezza. Questo ci darà occasione di considerare che il Gesù che siamo destinato ad incontrare al momento della fine è lo stesso Pargoletto divino che abbiamo visto nella mangiatoia in preda al freddo e alle penurie, protetto da due giovani sposi risotti quasi allo spasimo e alla disperazione per essere stati costretti ad un alloggio di fortuna; quindi di considerare quanto questo Gesù definitivo ed ultimo abbia voluto annichilirsi fino ad assumere la più miseranda delle condizioni di umanità, appunto l'infanzia. La Chiesa, sollecitata dallo stesso Gesù, tiene molto a che noi prendiamo in seria considerazione che il Giudice definitivo universale sia stato anzitutto un uomo alla pari di noi per essere a noi sottomesso e nella grotta di Betlemme ci esorta a meditare quanto questo nostro Giudice venturo abbia voluto abbandonare per amore nostro ogni grandezza e sicurezza e assumere lo stato di Bambino indifeso e abbandonato da una società egoistica che non aveva posto per lui in albergo. Insomma questo giudice è stato da noi giudicato a sua volta mentre vestiva i panni di un Bambino e questo non può che muoverci a commozione nel considerare che di fatto, ipoteticamente le nostre colpe ci meriterebbero davvero un giudizio di condanna definitiva, che tuttavia lo stesso Signore aspira a volerci risparmiare. Per questo motivo non potremo non riporre ogni nostra attenzione affinché questa attesa speciale apporti copiosi frutti: nel corso di queste settimane, mentre i negozi pulluleranno di articoli da regalo, dolciumi, attrazioni festose che illuminano già adesso le vetrine lungo le strade non potremo fare a meno di avvertire interiormente una piacevole ansia di attesa in vista di Colui che spende per noi la sua Divinità. L'esteriorità degli addobbi, quando non sia finalizzata a se stessa, può aiutare a coltivare e ad accrescere la serenità di spirito e la contentezza che di fatto caratterizza l'attesa di Gesù Bambino e non potrà esser eche la gioia la vera dimensione della nostra attesa; tuttavia essa non deve ridursi a mera passività e fredda vacuità dell'animo: va rinvigorita nella preghiera e nella riflessione personale attraverso opportuni spazi di raccoglimento e di meditazione; va motivata nella consacrazione paziente delle nostre pene e di eventuali angosce o sofferenze materiali e spirituali che, nell'essere accettate e affrontare determinatamente fondano la speranza abilitando lo spirito verso il Signore per ottenerci proporzionate ricompense; va consolidata e resa effettiva dalle opere concrete di carità e soprattutto dal superamento delle inimicizie e dei dissapori che possono essere incorsi fra di noi. Avvento vuol dire infatti "Ciò che sta per venire" (Adventum) ma questo comporta che noi si vada incontro al Signore venturo e per questo non possiamo trascurare di adoperarci attivamente nella venuta attiva di chi noi abbiamo osato giudicare... |