Omelia (26-11-2006) |
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Il mio regno non è di questo mondo La Colletta di questa Domenica di Cristo Re ci consegna un'invocazione piana e semplice che nasconde la sintesi di tutto il Vangelo. Ci invita a chiedere al Signore di farci "comprendere che servire è regnare". E' tutto qui il senso della vita di Gesù Cristo, che oggi celebriamo quale Re di tutta la terra e dell'universo intero. E' un tuffo nel mistero di Dio, che ha creato e salvato il mondo ed è, ugualmente, un invito a cogliere il segreto dell'identità di Gesù, Maestro e Signore. Sembra strano e incomprensibile, a noi uomini moderni, il linguaggio della 'regalità' applicato a Gesù Cristo, ma non vi è occasione migliore non solo per spiegarne il senso, ma anche per accorgerci che anche noi siamo re e partecipiamo a questo mistero di amore, di donazione e di servizio che appartiene, in maniera unica, al Signore Gesù. Egli è veramente re, un re 'speciale e originale', a cui noi abbiamo affidato e vogliamo affidare la nostra povera esistenza perché le dia un senso e un orientamento. Un Figlio dell'uomo che tutti servivano. Il profeta Daniele, in tempo di persecuzioni e di difficoltà per il popolo ebreo, incoraggia i suoi fratelli ad avere speranza in Dio. Lo fa attraverso la 'contemplazione notturna' di un figlio di uomo, riempito di 'potere, di gloria e di regno'. Di lui il profeta annota che 'il regno non sarà mai distrutto'. Può capitare – direi meglio che deve capitare! – che la nostra vita, segnata da mille difficoltà e prove, faccia fatica a trovare il bandolo della matassa e non riesca a trovare forza e speranza in mezzo ai marosi dell'esistenza. Ovunque ci si gira, la solitudine e la disperazione – piccole e grandi che siano – regnano. Più o meno è lo stesso sentimento in cui gli ebrei si sono trovati durante la persecuzione babilonese. Daniele, però, ricorda a tutti che "c'è un figlio dell'uomo, il cui regno non sarà distrutto". Solo gli uomini di Dio sanno vedere la speranza. Il resto è sguardo di ossa aride... Questo figlio dell'uomo è figura anticipatrice di Gesù Cristo: a Lui tutti serviranno e il suo potere vittorioso sul male e sulla morte non si estinguerà mai. Daniele ci invita a saper guardare la storia, a saperne contemplare l'abile tessitore di salvezza e a discernere la sua presenza continuamente all'opera. Un regno di sacerdoti. Anche san Giovanni Appostolo, dalla sperduta isola di Pathmos, ci rimanda alla contemplazione. In una esperienza mistica che solo gli uomini di Dio sanno comprendere e trasmettere, Giovanni ci invita, in una liturgia originale quale è tutta l'Apocalisse, a dare 'gloria e potenza nei secoli' al Signore Gesù. Parla di lui e parla, anche, del suo regno. Ne tesse le lodi e annota che 'ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue'. Scrive 'che è, che era e che viene'. San Giovanni ci offre di Gesù una Cristologia intensa, solenne e piena di speranza. Gesù è l'Onnipotente, Signore del cielo e della terra. Al di là del significato salvifico che l'Apocalisse rivela, ci piace rileggere il testo in chiave didattica: Gesù Cristo va conosciuto, oggi più di ieri, Mille e più sono le interpretazioni cui è soggetto, circoscritte e parziali e, a volte, anche interessate a giustificare i propri stili di vita. Ma il mistero di Gesù deve affascinarci e deve stimolarci alla ricerca orante e allo studio amoroso... Ma la cosa più bella è che a questo suo mistero partecipiamo anche noi. Siamo, infatti, un 'regno di sacerdoti'. Come Lui, cioè, siamo chiamati ad offrire il sacrificio della nostra esistenza nelle molteplici esperienze che quotidianamente viviamo; a 'spargere il sangue' della nostra responsabilità e del nostro lavoro in un mondo che necessita non solo di sacerdoti, ma anche di profeti e di re. Venga il tuo regno, Signore? Ci viene consegnata, oggi, la scena del dialogo tra Gesù e Pilato. Entrambi re, responsabili di uno stile di gestione della vita, ma paradossalmente testimoni di due regalità diverse. La regalità di Pilato all'insegna del potere interessato ed egoistico, padrone di uomini e cose per fini di gloria umana e ambizioni di vanità; quella di Gesù, invece, 'non di questo mondo', ma pronta e dedita alla donazione, alla non-violenza, alla solidarietà e all'amore inverosimile. Ecco perché Gesù è re: solo e semplicemente perché ha dato la vita e ha indicato a noi, uomini egoisti e sazi di benessere, che la vera felicità la si trova solo quando si offre se stessi. La regalità di Gesù mette a nudo i nostri progetti e i nostri stili di vita, scardinando le false ricerche di felicità che ogni giorno ci vedono impegnati: potere, arrivismo, carriera, vanagloria, interesse e tornaconti personali, successo, prestigio, comodità, benessere estetico, ecc. Il regno di Dio, invece, è pace, amore, giustizia, solidarietà, dedizione, offerta della propria vita. Che mondo che abbiamo costruito! Un'anziana signora, esperta di vita e saggia nel cuore, ama spesso affidarmi, nel suo denso dialetto (che traduco alla lettera), questo pensiero: "non c'è un palmo di terra pulito. Tutto è interesse ed egoismo. Ognuno pensa a sé!". L'odierna celebrazione liturgica ci ricorda, invece, che solo l'amore vince e solo atti continui e tenaci di donazione salvano il mondo, rendono felici e meritano lode. Gesù è l'unico che della sua vita ne ha fatto un atto intenso e originale di donazione – il suo sangue, annota l'Apocalisse – e, come tale, merita 'gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen'. |