Omelia (03-12-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Il nuovo anno liturgico si apre con un periodo di quattro settimane, in cui la Chiesa si prepara a celebrare nel prossimo Natale la venuta storica di Gesù tra gli uomini. Al tempo stesso essa ravviva un atteggiamento, una dimensione che l'accompagna costantemente nel suo cammino dentro la storia: la dimensione dell'attesa. La Chiesa aspetta, non con paura ma con desiderio ardente e viva fiducia, un futuro che Dio nel suo amore ha promesso e prepara. Questo futuro, che ci sta davanti, verso cui stiamo avanzando, la Chiesa lo chiama "avvento" cioè venuta: la venuta del Signore Gesù. Da tale espressione prende nome il tempo liturgico appena iniziato. Il futuro che la Chiesa attende, prima ancora che essere un avvenimento che accade, è una persona che viene. E quale persona! Una persona amica, la persona del nostro Salvatore. S. Paolo nella prima lettura parla della "venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi" (1Ts 3,13). Può succedere che cristiani praticanti, assidui alla Messa domenicale, non avvertano e quindi non facciano propria la grande speranza, la struggente nostalgia, l'attesa appassionata che vibra nel dialogo tra la comunità cristiana e il suo Sposo e Signore. Anche noi siamo così? La nostra attenzione a questo traguardo finale della storia è fiacca o inesistente? Il fatto che Cristo verrà un giorno "con potenza e gloria grande" (Vangelo) non ci interessa più di tanto o non ci interessa per nulla? Questo avvenimento grandioso l'abbiamo contemplato recentemente nell'annuncio di Gesù, secondo il vangelo di Marco (Mc 13, 24-36: 33° domenica dell'anno B). Come in quest'ultimo testo, anche nel brano odierno di Luca - sia pure con qualche variazione - le immagini strane e...terrificanti non annunciano una catastrofe cosmica, ma intendono presentare un evento straordinario e irripetibile che avrà luogo al termine della storia e di cui non viene rivelata la data: la venuta ultima di Cristo, gloriosa e visibile a tutti. "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande". Tale venuta metterà fine al mondo attuale - dove trionfano il male e la morte - e darà origine a un mondo nuovo, che sarà riempito dalla "gloria" cioè dalla presenza splendente di Dio e di Cristo. "Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". Vale a dire, ogni forma di schiavitù e di alienazione scomparirà. L'uomo sarà finalmente se stesso, gustando una vita traboccante. La venuta gloriosa di Gesù porterà ai suoi il dono della libertà totale. E' un evento supremamente lieto quello che Egli annuncia. La sua promessa suscita e alimenta la speranza. Il futuro che Dio prepara si fonda sull'avvenimento che è il centro del messaggio cristiano: Dio ha risuscitato Gesù dai morti. Basti cogliere nel Credo una serie di affermazioni che nella loro successione sono strettamente collegate: "Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture...Di nuovo verrà nella gloriala risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà". Colui che, vittorioso sulla morte, possiede insieme al Padre la pienezza della vita, un giorno si svelerà, farà tutto nuovo e i morti risorgeranno. I risorti riavranno il loro corpo, ma radicalmente trasformato dallo Spirito Santo e reso conforme a quello del Cristo risorto nella sovrabbondanza della vita, della libertà, della gioia. La venuta finale di Gesù viene anticipata in un certo senso per ogni uomo nel momento della sua morte. Questa non annulla la vita, ma ogni persona "continua a vivere oltre la morte in una forma di esistenza cosciente e libera, diversa da quella corporea, in attesa di raggiungere la completa perfezione al termine della storia con la risurrezione" (Cat. Adulti p.579). Nel momento della morte si decide la nostra sorte eterna: la comunione definitiva e beatificante col Signore o la lontananza definitiva da Lui. Si vive e si muore una volta sola e nel momento della morte la scelta per Dio o contro Dio diventa irreversibile e immutabile: ecco il "giudizio", a cui nessuno può sfuggire. Il futuro oltre la morte sarà, per chi avrà vissuto nell'amore l'appartenenza al Signore, "la vita eterna", cioè l'essere per sempre con Gesù nel seno del Padre, immersi in Lui, nel vortice della sua tenerezza, partecipando alla vita della Trinità. Ma se la morte dovesse cogliere l'uomo in una condizione di rifiuto totale nei confronti di Dio, allora la separazione da Lui e dai beati, che godono con Lui, sarebbe lacerante e definitiva. A questo stato di disperazione eterna sono condannati il diavolo e i suoi angeli. Per gli uomini si tratta di un tragico pericolo, di un rischio reale. Ciò spiega l'avvertimento forte e accorato di Gesù: "State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano...". Egli ci mette in guardia contro il pericolo di adagiarci nel torpore e nelle false sicurezze della vita presente, dimenticando che le realtà essenziali sono altrove. "Vegliate e pregate in ogni momento". Si tratta di tenere desta l'attenzione d'amore a Colui che verrà, ma che già viene e ci incontra misteriosamente (nella sua Parola, nei Sacramenti, nei fratelli). E' una vigilanza che si esprime nel dialogo della preghiera e nell'operosità dell'amore. Più i credenti crescono nell'intimità filiale con Dio e nella gioia della comunione fraterna, e più sono in grado di intuire e sperare ardentemente le realtà della vita eterna. Nello stesso tempo sentono il bisogno di anticipare nell'oggi e quaggiù la vita di carità che sarà perfetta in Paradiso. "Vegliate e pregate". Cioè: amate! E questo senza tregua: "in ogni momento". Se uno veglia è segno che ama. Ama Dio e quindi prega, cioè dialoga con Colui che nel suo amore veglia rivolto incessantemente verso ciascuno di noi. Veglia anche chi è attento al fratello in un amore che non dice mai "basta!" ed è sommamente generoso. "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti" (1Ts 3,12: II lettura). Queste parole di Paolo, che esprimono il contenuto della vigilanza, richiamano alcune proprietà dell'amore: la reciprocità ("amore vicendevole") e l'universalità ("verso tutti"). Un amore, poi, che punta senza sosta a migliorare la sua qualità e intensità ("vi faccia crescere"): "L'amore è come la luna. Se non cresce, cala" (proverbio orientale). Un amore "sovrabbondante", che cioè non si limita a dare al fratello ciò di cui ha bisogno, ma lo sorprende per la gratuità e gioia con cui lo dona. In questo tempo di Avvento chiederemo più spesso al Signore per noi e per gli altri il dono della speranza. Cercheremo di interiorizzare i motivi veri che la fondano. La nutriremo con la Parola di Dio. Così potremo contagiarla a tante persone e all'intera società, così povera di speranza. È appunto sulla "esperienza del Signore risorto che si fonda la nostra speranza. La nostra speranza, infatti, è una Persona: il Signore Gesù, crocifisso e risorto. Su di Lui si fonda l'attesa di quel mondo nuovo ed eterno, nel quale saranno vinti il dolore, la violenza, la morte, e il creato risplenderà nella sua straordinaria bellezza. Noi desideriamo vivere già secondo questa promessa e mostrare il disegno di un'umanità rinnovata in cui tutto appaia trasformato". E ciò in ogni ambito dell'esistenza personale e sociale (Messaggio alle Chiese particolari a conclusione del Convegno Ecclesiale di Verona 20/10/06). Quando penso al futuro mio, dei miei cari, dell'umanità, in tale futuro riesco a vedere Cristo e in quale misura? Saprei ricordare alcuni momenti della celebrazione eucaristica in cui la Chiesa esprime la sua ardente speranza e attesa del Salvatore? In questo inizio del nuovo anno liturgico sento il bisogno di amare in modo nuovo, come ci invita a fare s. Paolo? Vieni Signore Gesù! Nel tuo grande amore rendici testimoni di speranza! |