Omelia (26-11-2006)
don Maurizio Prandi
Il Re, secondo il Vangelo

Nel brano che abbiamo ascoltato la scena è occupata da due re, uno di fronte all'altro: da una parte Pilato, che come rappresentante dell'Imperatore di Roma è investito della massima autorità e può esercitare il potere sulle persone fino a decretarne la morte. In lui si rispecchia perfettamente quella idea di sovranità che noi, se pur inconsciamente, siamo portati ad elaborare. E' fuori dubbio che ognuno di noi è attratto da questa immagine di regalità come è fuori dubbio che l'istinto del potere è profondamente radicato in noi, vuoi perché attorno a chi comanda c'è sempre uno stuolo di adulatori, di sostenitori, di gente che si prostra, vuoi perché ci piace sentirci "grandi"... Di fronte a Pilato c'è Gesù di Nazareth, la cui regalità, come lui stesso tiene a precisare è ben diversa da quella dei potenti della terra, anzi, quella volta che la gente l'aveva cercato per farlo re, lui si era nascosto. Vangelo e liturgia ci danno l'opportunità di centrare evangelicamente questo titolo (Re), che Gesù stesso tiene a separare con nettezza da ciò che normalmente le persone intendono: Il mio regno non è di questo mondo! dice a Pilato. Ecco che allora un primo pensiero si impone: quasi un richiamo di Gesù a tutti coloro che confondono il primato di Dio, la regalità di Dio con l'imposizione di una religione civile. In questo senso, la festa che la Chiesa tutta celebra questa domenica è necessario farla uscire da una certa ambiguità proprio perché celebra un titolo di Gesù, (cosa che nell'antichità non succedeva) e perché è stata istituita in un periodo storico (1925) in cui alla chiesa pareva importante reagire al contesto culturale e politico con una concezione della regalità di Gesù come rerum civilium imperium cioè come comando delle questioni civili.
E' bello il commento di S. Agostino a questa pericope evangelica: Gesù non dice: "il mio regno non è in questo mondo", ma dice: "il mio regno non è di questo mondo". E dopo aver dimostrato questo dicendo: "Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato ai giudei"... il suo regno infatti è in questa terra fino alla fine dei secoli, e porta in sé la zizzania mescolata con il grano fino al momento della mietitura, che avverrà alla fine dei tempi, quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, e toglieranno dal suo regno tutti gli scandali.
Mi pare bello proprio questo: il Regno di Dio è nel mondo e quello che noi siamo chiamati a fare è proprio cercare di cogliere i segni di questa presenza che resta una presenza "discreta", che mai si impone con la forza ma domanda solo di essere accolta. Un primo tratto allora che emerge dal vangelo ma anche da queste prime riflessioni è proprio questo: una regalità diversa. Ancora una volta la parola di Dio sottolinea in modo forte quale è la differenza cristiana. In questa festa dobbiamo celebrare Gesù non a partire da un titolo (quello di Re appunto), ma dalla confessione della regalità di Cristo così come il vangelo ce la racconta: una regalità che non porta armi, una regalità che non arruola eserciti, una regalità che non manda a morte nessuno ma muore per gli altri, una regalità tentata dal potere ma che ha detto di no al potere, una regalità che ha sempre servito e mai comandato. (E. Ronchi) Ecco che il servizio e la povertà allora diventano segni della presenza del Regno di Dio nel mondo. Mi permetto di proporre al vostro ascolto due brevi passaggi... il primo di Paolo VI, che proprio nella festa di Cristo Re nel 1967 parlando in conclusione del sinodo dei Vescovi diceva loro a proposito del servizio: la Chiesa continua tra gli uomini il mistero degli abbassamenti di Cristo, il quale non è venuto per essere servito, ma per servire: anch'essa, come il suo modello e santificatore, vuole servire gli uomini. Il secondo è di Benedetto XVI, che pochi giorni fa', il 9 novembre diceva ai vescovi svizzeri: Vorrei chiedere scusa anche per il fatto che mi sono presentato già nel primo giorno senza un testo scritto; naturalmente un po' avevo pensato, ma non avevo trovato il tempo di scrivere. E così anche in questo momento mi presento con questa povertà; ma forse essere povero in tutti i sensi conviene anche a un papa in questo momento della storia della Chiesa. Importantissima questa affermazione del papa sulla povertà, importantissima perché ci dice un compito ed una responsabilità per ognuno di noi. Mons. Tonino Bello, vescovo a Molfetta, aveva un po' anticipato tutto questo nelle sue scelte concrete... per lui non contavano tanto i segni del potere quanto invece il potere dei segni. Lo scettro mi parla di un re – generale di corpo d'armata, lo scettro mi parla di un re – giudice, lo scettro mi parla di un re – dominatore. Sul pastorale di don Tonino c'è una scultura di legno con una pecora che si arrampica sulle vesti di Gesù ed un'altra, quella che si è persa, che Gesù si pine sulle spalle. Bello che invece di rimproverare chi si è perso, chi si è allontanato, il Signore se lo mette sulle spalle... Gesù ci dice che per essere re è necessario fermarsi accanto alla pecora che zoppica è di fronte al re – dominatore viene posta la figura del Re Pastore. Il nostro non è un re potente, un re che schiaccia, un re che ha sul capo una corona d'oro e tra le mani uno scettro d'avorio. Niente di tutto questo: una canna gli hanno messo tra le mani e sulla testa, come corona, una corona di spine e il suo trono è formato da due pali incrociati, la croce. Non è uno che si impone, un dominatore, uno che ci opprime.
Leggevo con piacere il commento che gli ospiti dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia fanno a questa festa e a questo brano di vangelo. Affermano che il regno che Gesù instaura è un Regno che appartiene ai "poveri" e ai "miti"; non ha molto a che fare con i regni del mondo, che invece appartengono a chi ha potere economico e a chi ha potere militare o forza, a chi sa in un modo o nell'altro farsi valere. Quello di Gesù è un Regno in cui al male si risponde non con il male ma con il bene, quello di Gesù è un regno che è fondato sulla misericordia e sul perdono. Allora come si realizza il regno di Gesù? Come si instaura nel mondo? In un modo sorprendente che Gesù spiega: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Gv 18, 37). Ecco come si forma il Regno di Gesù: Gesù rende testimonianza alla verità! Se qualcuno ascolta e accoglie quella verità riconosce Gesù come il Rivelatore, quindi sottomette la sua vita alla parola di Gesù, e Gesù diventa re, re di coloro che credono, re di coloro che si fidano della sua verità, della verità che Gesù annuncia. Allora la domanda è: ma che cos'è questa "verità" di cui Gesù è testimone? Si fanno molti discorsi sulla verità... più o meno filosofici senza tenere di conto che il vangelo parla al cuore dei semplici: secondo l'evangelista Giovanni la verità è la rivelazione dell'amore del Padre, dire la verità è dire che Dio è fatto di amore... È un modo strano di essere re: Gesù è re rendendo testimonianza alla verità. Il regno di Gesù non cresce con la politica o con la forza. Il regno di Gesù nasce e cresce quando lui stesso rivela il volto misterioso di Dio e lo rivela come un volto di amore. Gesù manifesta il volto di Dio esattamente nella passione: ciò che qui si afferma non è un volto di potere, ma di amore che si dona. Quando Gesù rivela l'amore del Padre, allora diventa Re. La rivelazione completa di questo amore di Dio, Gesù l'ha operata con il dono della sua vita sulla croce. Donando la vita, cioè tutto quello che aveva, ha tolto una volta per sempre il velo che nasconde la verità delle cose, e ha permesso all'uomo di riconoscere l'amore di Dio misterioso ma profondamente innestato nella vita dell'uomo.

Estratto dall'incontro per la scuola di preghiera tenuto da don Maurizio Prandi in Diocesi a Chiavari