Omelia (17-12-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
la verga, la manna e la gioia Già San Francesco di Paola – Fondatore del mio Ordine Religioso – nel 1400 aveva individuato il procedimento ideale per ogni tipo di pedagogia, prescrivendo nella Regola una norma ben precisa che i Superiori avrebbero dovuto seguire nel punire i sudditi colpevoli recidivi: "Si adoperi la verga con la manna e l'olio con il vino; cioè la giustizia con la misericordia." Tale suggerimento (ovviante non nel senso materiale delle percosse) viene applicato tuttora nelle nostre case di formazione e penso che sia molto eloquente quanto alla necessità di ricorrere alla punizione in campo educativo: tutte le volte che si voglia penalizzare qualcuno occorre non limitarsi ad irrogare la pena ma fare in modo che questa abbia la sua efficacia, considerando che essa non coincide affatto con la vendetta ma è sempre e comunque un atto di carità che mira all'emendazione del reo. Il che vuol dire infliggerla in modo proporzionato alla gravità del caso, alleviarla quando sia possibile e qualche volta affinarla con qualche atto di bontà e di fiducia. E soprattutto sospenderla immediatamente quando il formando abbia mostrato effettivo ravvedimento per passare agli elogi e agli incoraggiamenti e all'esaltazione dei suoi eventuali meriti. Questo anche quando la punizione da infliggersi debba essere estremamente severa. Le pene, per quanto possibili, devono essere sempre "medicinali", atte cioè a favorire la reintegrazione del nostro fratello colpevole nella comunità e solo in casi veramente irrimediabili si deve ricorrere all'estromissione e all'espulsione. La punizione è un atto di amore e chi la voglia infliggere in modo adeguato non può che rifarsi ai criteri di Dio che è amore. La "verga con la manna" è infatti un concetto proferito nel 1400 da un semplice santo calabrese ma il suo contenuto lo possiamo riscontrare anche nella prima lettura di oggi in cui il profeta Sofonia promette alla città di Gerusalemme (e per estensione a tutti i Giudei) la gioia infinita della liberazione dalla schiavitù dell'esilio Babilonese e dall'oppressione dei popoli avversari. Questi erano stati in precedenza la "verga" divina di punizione per le malefatte commesse da parte degli stessi Israeliti che avevano offeso il Signore con atti di idolatria e di infedeltà; Dio li aveva sfruttati per infliggere una castigo esemplare al popolo ebraico ma adesso verranno da Lui scacciati e resi oggetto a loro volta di punizione, mentre gli Israeliti saranno sostenuti dal Signore. Non soltanto ritorneranno in patria scaglionati, ma godranno della vicinanza di Dio e della sua benevola compagnia per una vita futura futura migliore. Tutto questo è motivo di gioia e di speranza per tutti gli esiliati ma per chiunque voglia confidare nel Signore che certamente punisce ma non abbandona chi gli è fedele. Per questo Paolo rivolge ai Filippesi questo invito incalzante e perentorio: "Rallegratevi, ve lo ripeto ancora rallegratevi", perché il Signore è vicino, ossia presente e attivo per il nostro benessere e per il nostro vantaggio. La gioia però la si vive con maggiore slancio e immediatezza quando ci si sente rinnovati radicalmente ed è per questo che Gesù promette la liberazione dai nostri mali con un lavacro rigeneratore del Battesimo. Farò un esempio: quando due anni or sono mi impuntai a smettere di fumare, dopo i primi due giorni di nevrotica crisi di astinenza dalla nicotina che mi aveva destabilizzato, mi sentii piacevolmente "alleggerito": provai in tutto il fisico e nello spirito un elevato senso di benessere e di sollievo che mi faceva sentire libero e disinvolto su tutto; a differenza di prima non facevo fatica ad alzarmi presto la mattina, gustavo maggiormente i sapori dei cibi, ero più spigliato nei movimenti e vedevo tutto con maggiore fiducia e ottimismo. Avvertivo insomma la piacevolezza di essere stato liberato da una voluttà banale e melense come quella della sigaretta (Provare per credere!"). Ebbene, nella promessa di un Salvatore che verrà a battezzarci in "Spirito Santo e fuoco" e che avrà in mano "il ventilabro per ripulire l'aia" Dio intende farci assaporare la gioia di essere stati liberati dalla ruggine fastidiosa del peccato che suscita sempre malcontento interiore e determina la rovina del nostro spirito inficiando la stabilità dei rapporti con gli altri; la gioia della liberazione dal peccato produce benessere e serenità interiore ed è condizione per assaporare la pace con la quale (unicamente) è possibile donarsi agli altri nelle opere di bene che parzialmente vengono descritte dal Battista in questa pagina: la gioia rende disposti al bene e alle opere di edificazione vicendevole e non lascia spazio ai rancori, alle acredini e alle cattiverie che ci affliggono nell'essere peccatori. Sempre il Battista mostra che la vita gioiosa nel Signore non richiede poi particolari carismi o virtù straordinarie ma va realizzata anzitutto nelle piccole vicende di tutti i giorni: i suoi interlocutori sono i soldati, i pubblicani, la gente del popolo, coloro che insomma vivono l'ordinario e che adesso, di fronte alla novità del Battesimo di conversione si domandano "cosa dobbiamo fare?" forse aspettandosi impegni di straordinaria entità: Giovanni li istruisce invece su quello che va fatto ogni giorno in tutte le circostanze di vita già vissuta e anche noi siamo incoraggiati a modificare in meglio il nostro atteggiamento di ogni giorno nel compiere il bene, aprirci agli atri, essere giusti per poter essere sereni e in pace con noi stessi e con tutti. Nell'amore verso il prossimo, nella carità, nella giustizia si sperimenta così l'amore di Dio per noi stessi e per gli altri. Questa è la promessa che troverà compimento definitivo nella venuta del Dio Bambino Gesù Cristo alla quale abbiamo fatto precedere la "verga" interiore della conversione e del ravvedimento da parte nostra. |