Omelia (01-11-2001) |
Paolo Curtaz |
Riprendiamoci i santi! Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti perché saranno consolati. Beati i miti, perché possederanno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Il nostro tempo è chiamato a compiere un'opera ciclopica: riappropriarsi dei Santi tirandoli giù dalle nicchie e facendoli entrare nella nostra vita. Mi spiego: un grosso rischio che corriamo oggi è di vedere il santo come qualcuno di completamente estraneo alla nostra vita; con il proposito corretto di esaltarne le qualità, si è corso il rischio di allontanare questi nostri fratelli dalla concretezza relegandoli nella sfera del miracolistico e, perciò, dell'impossibile. Cosa c'entrano i Santi con me? Con il mio lavoro, le mie preoccupazioni, con i miei limiti? E' importante, credo, ridire che il santo è un cristiano riuscito bene, un cristiano che ha lasciato germogliare il germe della fede piantato nel suo cuore il giorno del battesimo fino a farlo diventare l'albero frondoso alla cui ombra gli uomini risposano. Ciascuno di noi è chiamato a diventare santo, cioè a realizzare in pieno il motivo per cui esiste, a centrare il bersaglio, lasciandosi costruire da Dio. Il santo, uomo completo, non è colui che fa delle cose straordinarie, ma che fa le cose di tutti i giorni straordinariamente bene (frase di Teresiana memoria...). La Chiesa, madre di Santi, ci propone oggi come modelli Santi più vicini alla nostra sensibilità e che possono perciò davvero essere presi ad esempio per la nostra quotidianità: studenti universitari simpatici e concreti, come Piergiorgio Frassati; madri di famiglia che accettano il sacrificio nella quotidianità, come Gianna Beretta Molla; professionisti che vivono con passione il proprio lavoro, come Giuseppe Moscati. Se riusciamo a rimettere i Santi accanto a noi, ci accorgeremo che la loro Santità non consiste nel fare cose fuori dal comune, o da atteggiamenti devozionistici o pietistici, rassegnati o zuccherosi. Conoscere i Santi significa veramente percepire in essi una profonda umanità innalzata dall'amore di Dio. Uomini e donne di tutti i tempi che hanno cercato di lasciarsi fare dalla grazia del Signore, senza intralciarlo, ma mettendo la propria sensibilità e intelligenza a servizio del Vangelo. Il più grosso miracolo che i Santi compiono è quello di lasciare che Dio lavori nella loro vita. E noi? Se la Santità è il modello della piena umanità, perché non porci questo obbiettivo? Santo è chi lascia che il Signore riempia la propria vita fino a farla diventare dono per gli altri. Come brllantemente annota Léon Bloy, scrittore del secolo scorso: "Non c'è che una tristezza: quella di non essere Santi". Festeggiare i Santi significa celebrare una Storia alternativa. La storia che studiamo sui testi scolastici, la storia che dolorosamente giunge nelle nostre case fatta di violenza e prepotenza non è la vera Storia. Intessuta e mischiata alla storia dei potenti, esiste una Storia diversa che Dio ha inaugurato: il suo regno. Le Beatitudini ci ricordano con forza qual è la logica di Dio. Logica in cui si percepisce chiaramente la diversa mentalità tra Dio e gli uomini: i beati, quelli che vivono in d'ora la felicità, sono i miti, i pacifici, i puri, quelli che vivono con intensità e dono la propria vita, come i Santi. Questo regno che il Signore ha inaugurato e che ci ha lasciato in eredità, sta a noi, nella quotidianità, renderlo presente e operante nel nostro tempo. |