Omelia (17-12-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Nella liturgia di questa domenica domina il tema della gioia. Il profeta Sofonia (3, 14-18: I lettura) esorta la "figlia di Sion" (il resto di Israele rimasto fedele) a dare libero sfogo alla propria felicità: "gioisci...esulta...rallegrati!". Una gioia intensa e incontenibile. Che cosa la motiva? Dio ha liberato il suo popolo e stabilisce la sua presenza in mezzo ad esso: "Re d'Israele è il Signore in mezzo a te...Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente". Una presenza efficace che rende forti contro ogni paura e scoraggiamento: "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia". Ecco le ragioni della gioia: il Dio d'Israele - salvatore potente - è col suo popolo e dimora in mezzo ad esso, perdonandolo e rinnovandolo col suo amore. Confrontando questo testo di Sofonia col brano dell'annuncio a Maria nel vangelo di Luca (1, 26-38) - che abbiamo appena ascoltato nella festa dell'Immacolata - troviamo una corrispondenza impressionante: Maria - che, come vera "figlia di Sion", rappresenta Israele e in definitiva l'umanità - è invitata a "rallegrarsi", a "non temere" perché "il Signore è con lei...". Grazie al figlio che essa porta nel seno, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo raggiunge la sua perfezione somma e inaspettata. Presenza che nell'Eucaristia si prolunga ed è a nostra disposizione: "Nel Sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina" (TMA 55). La nostra risposta è un canto di lode esplosiva (Is. 12, 2-6: sal resp): "Alleluia: viene in mezzo a noi il Dio della gioia...gridate giulivi ed esultate...perché grande in mezzo a voi è il Santo d'Israele". L'invito alla gioia è ripreso con vigore da s. Paolo nella II lettura (Fil. 4, 4-7): "Rallegratevi!" ( per due volte). Un appello tanto più significativo se pensiamo che chi invita a gioire si trova in prigione. L'Apostolo precisa i motivi e le caratteristiche di tale gioia: Non è una gioia qualunque, ma "nel Signore", cioè nel Cristo morto e risorto, nel rapporto vitale con Lui. Una gioia che egli ci comunica: mediante la fede noi partecipiamo alla gioia stessa del Risorto. Una gioia, allora, che nessuna prova e dolore è in grado di spegnere (cfr. 2Cor. 7,4). Una gioia non a intermittenza, ma senza interruzione: "Rallegratevi nel Signore, sempre" (cfr. pure 2Cor. 6,10: "afflitti, ma sempre lieti"). Nemica della gioia non è la sofferenza, ma l'egoismo: non si può essere felici da soli. Gioia, quindi, nella carità: "La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini": una gioia comunicativa; che non ha bisogno di esprimersi in forme chiassose, grossolane e non rispettose degli altri; ma si manifesta nella dolcezza, nella benevolenza. E' una gioia contagiosa. Gioia nella comunione: l'imperativo plurale ("Rallegratevi!") dice che la gioia non è un'esperienza puramente individuale, ma comunitaria: la gioia si condivide e così si moltiplica, la pena si compartecipa e così si dimezza. Gioia nella speranza: "Il Signore è vicino!": cioè sta per arrivare; ma anche: è già qui, presente in una venuta attuale (nell'Eucaristia e negli altri Sacramenti, nella Parola, nei fratelli, nel cristiano in grazia di Dio...). Gioia nell'abbandono fiducioso: "Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti". Si confidano a Dio le proprie preoccupazioni, unendo all'invocazione la riconoscenza per i favori ricevuti, a partire dalla creazione e dalla redenzione, e per quanti Egli ci farà ancora. Gioia, infine, che fiorisce nella pace: "La pace di Dio...custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù". Pace che è pienezza di rapporto con Dio e tra fratelli, ed è dono di Lui e di Cristo. Abbiamo tutti i motivi per essere felici. Lo sappiamo? La gioia, con i suoi tratti inconfondibili che Paolo ci ha richiamato, è l'abito che i cristiani devono indossare in permanenza, quasi una luce che brilla senza sosta sui loro volti. Questa gioia è il frutto dell'amore. "La gioia è amore in azione" (beata Madre Teresa di Calcutta). L'amore e la gioia sono fratelli gemelli: essi testimoniano in modo credibile che il nostro Dio è Amore e Gioia e che il cristianesimo è essenzialmente la religione dell'amore e della gioia. Ecco perché per noi cristiani la gioia - come l'amore - è un dono, ma insieme un impegno, una responsabilità, un imperativo ("Rallegratevi!"). Nel Vangelo è di scena ancora Giovanni: "Annunziava al popolo la buona novella" e chiamava tutti alla conversione. L'uditorio è scosso profondamente. Sono "le folle", "pubblicani" (esattori delle imposte per conto dell'autorità romana e, a motivo della loro professione, considerati pubblici peccatori), "soldati" (di provenienza pagana e, per tale ragione, ritenuti "lontani da Dio").Hanno capito che, se la conversione è ritornare al Signore e volgere interamente a Lui il proprio cuore, ciò deve avvenire in modo molto concreto. Ecco allora la domanda: "Che cosa dobbiamo fare?". Tale domanda ricorre tre volte e anticipa il medesimo interrogativo che il giorno di Pentecoste la folla, toccata nel profondo dall'annuncio di Pietro, rivolgerà agli Apostoli (At 2,37; cfr. pure 9,6; 22,10). Chi ascolta la Parola non può limitarsi a dire: "Che bello! Interessante!". Ma si chiederà: "Come non essere più quello di prima? Come cambiare la mia vita?". A tutti è data la possibilità di convertirsi. La risposta del Battista è chiara e concreta: Nessuna professione esclude dalla salvezza. Non si tratta di cambiare mestiere, ma il modo di esercitarlo. Anzitutto convertirsi significa praticare la solidarietà e la condivisione in ogni ambito e in ogni rapporto: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha...". Tale istanza vale per tutti: la conversione a Dio passa attraverso l'attenzione concreta al prossimo nella condivisione fraterna. Per i pubblicani e i soldati, poi, convertirsi significa specificamente rispettare la giustizia, evitando ogni forma di sopruso e di sopraffazione. L'appello di Giovanni alla conversione - che si concretizza nell'amore - si fonda su un lieto annuncio: il Messia atteso sta per arrivare! "Viene uno che è più forte di me..." Giovanni riconosce che una distanza abissale lo separa da Lui: egli non è degno neppure di offrirgli l'umile servizio dello schiavo. Non si può confondere Gesù con nessun altro. Giovanni esorta a concentrare tutta l'attesa e l'attenzione su di Lui che "vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco". Cioè vi "immergerà" nello Spirito Santo, che è l'infinita vitalità di Dio, il suo amore che purifica, trasforma e rigenera l'uomo unendolo intimamente a Dio stesso. Ma ha anche "in mano il ventilabro", cioè viene a compiere il giudizio. Davanti al futuro (Gesù che viene nel Natale e nell'ultimo giorno della storia sia nostra che universale) la nostra vita si colora di speranza gioiosa, ma anche di grande responsabilità: si tratta di "vivere per incontrarlo" nel migliore dei modi. Siamo consapevoli che la gioia vera è legata alla persona di Gesù e al nostro rapporto con Lui, cioè alla conversione, e che più cresce questa, più cresce la gioia? Chi ci incontra riconosce in noi delle persone felici e capaci di infondere serenità e speranza? Siamo convinti che la gioia e l'amore sono inseparabili e che far felice qualcuno è una forma squisita di carità, fonte anche di gioia per noi stessi? Quando ti scopri triste, sai come ritrovare la gioia? Se conosci questo segreto, potresti comunicarlo anche ad altri? |