Omelia (17-12-2006)
mons. Antonio Riboldi
Cosa devo fare?

Che il Natale si stia velocemente avvicinando forse lo vediamo dallo sfarzo con cui il mondo lo prepara, 'alla sua maniera', illuminando le vie di 'stelle', con negozi che sembrano dare l'idea che la felicità sia nelle 'cose', o doni. Tutte vanità che poco aiutano a capire il grande Dono che Dio ci sta facendo: il Suo Figlio Unigenito, Gesù.
È Lui il vero e solo Dono di cui l'uomo, ogni uomo, ha bisogno...anche se non lo sa o non vuole ammetterlo. Il resto è cornice di festa che può fermarsi lì, senza farci salire di un palmo verso le stelle che fanno corona al Dio tra noi e con noi.
La Chiesa, invece, sollecita a essere lieti, perché Gesù è vicino.
Così infatti scrive Paolo ai Filippesi: "Fratelli, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti: e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo" (Fil 4, 4-7).
Una volta, questa domenica era detta: 'Laetare!', ossia 'Gioite!': 'Fatevi riempire di gioia perché Dio è vicino'.
Se riflettiamo bene, e vi invito a farlo, la nostra vita assomiglia tanto a un tempo di attesa, o avvento: attesa che Dio si faccia vicino a noi e ci tolga dalla tristezza che ci avvolge e che, a volte, tentiamo di soffocare, affidandoci forse a quanto non ha cuore, ossia alle cose che hanno solo 'l'apparente splendore dell'oro'. Per cui c'è davvero un Natale necessario per tutti, sempre che trovi in noi posto nella 'nostra grotta', lontana dal chiasso del mondo.
Diciamoci la verità: siamo davvero stanchi di feste che non sono feste; stanchi di correre dietro a mode che sono illusioni di poco tempo; stanchi forse del vuoto che c'è in noi o della pesantezza delle nostre colpe; stanchi di non sapere se qualcuno davvero esiste, in cui porre fiducia. Ma non sappiamo come scrollarci di dosso questa stanchezza, che può diventare pericoloso cancro dell'anima, quando questa ha bisogno di quella pienezza di salute che solo Dio può dare.
Mi scrive un coraggioso giovane: "Mi capita di frequentare e confrontarmi con giovani di varie parrocchie e, spesso, anche con giovani che non le frequentano proprio, ma mi accorgo che ovunque la sete e la fame di Dio è tanta... Tutti ci attendiamo risposte da Dio e non ci diamo pace, perché non vediamo o non vogliamo vedere. Nonostante la ricerca di Dio nei giovani sia costante, in ognuno di noi, singolarmente, spesso è come se esistesse un muro tra noi e Dio. Ma questo muro può essere abbattuto e credo si possa realmente amare Dio come Padre e come Madre, riconoscendo in ogni piccolo gesto, che viene donato al più piccolo fratello, quell'amore gratuito e infinito, che un Padre ed una Madre possono donare. Siamo stanchi di vedere anche preti, suore, gente di Dio correre dietro al lusso del mondo, creando quella velenosa opinione che essere preti sia un buon mestiere. I giovani cercano testimoni, gente controcorrente, che mostri chi è Gesù. Siamo stanchi di vedere la gente soffrire nella disperazione della ricerca di un lavoro dignitoso dove ogni diritto viene riconosciuto e che invece viene puntualmente lasciata da sola a lottare contro questo pessimo sistema del mondo del lavoro e magari senza una parola di conforto. Siamo stanchi di sentirci avviliti e lasciati soli nei nostri guai. Come dice un vecchio proverbio: 'mal comune mezzo gaudio'; è proprio questo che vorremmo dagli uomini di chiesa, che sappiano scendere nell'animo di quel fratello che in quel momento ha bisogno e sappiano realmente condividere lo stato d'animo di quella sofferenza e fargli capire con le parole e con mille gesti, che dicano NON SEI SOLO!
Insomma è dall'esempio che può nascere un vero legame tra il giovane e la Chiesa e quindi Dio. Questo è il solo 'pane spezzato' di cui noi giovani abbiamo bisogno: persone che ci rincorrano per strada a fermarci se stiamo prendendo una strada sbagliata; persone che ci siano di conforto costantemente quando una disgrazia ci colpisce, riuscendo ad immedesimarsi e a vederci realmente come dei fratelli, perché ai fratelli non si dà il contentino della parola ad effetto e poi lo si manda a casa, ma un fratello non lo lasci un istante e ti preoccupa, anche se semplicemente non riesci a prendere sonno, per il dramma che vive".
Non posso che ringraziare questo giovane che mi scrive e che parla a nome di tutti i giovani. È bello raccogliere e fare proprio lo sfogo.
Per entrare in questo spirito di attesa, per 'cambiarci dentro' ed essere testimoni, come chiede il giovane, ci aiuta oggi l'evangelista Luca: "Le folle interrogavano Giovanni: Che cosa dobbiamo fare? Rispondeva: Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli dissero: Maestro, che dobbiamo fare? Ed egli disse: Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato. Lo interrogavano anche alcuni soldati: E noi che dobbiamo fare? Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe. Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali. Costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio, ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile. Con molte esortazioni annunziava al popolo la Buona Novella" (Lc 3, 10-18).
Una esortazione anche per noi ad uscire dal chiasso della vita e recarci 'nel deserto', luogo di riflessione, di confronto con la Parola, e quindi di esame di noi stessi con sincerità. È un grande dono arrivare a chiederci: E io che devo fare?. Una domanda che credo ci poniamo tutti, ma proprio tutti, oggi, quando sentiamo il bisogno di trovare la luce, e quindi di capire, udire, sentire l'amore del Padre che ci sta cercando. Questo è il vero dono del Natale di Gesù.
Ma ci sono tanti atteggiamenti da cambiare. Un buon segno sulla ricerca di un cambiamento è quella, non tanto strana, richiesta di solidarietà verso chi è solo e cerca da noi amore e aiuto. È davvero forte l'eco della solidarietà oggi. Che non sia la strada buona che ci conduce a Betlemme?
D'altra parte, come si fa a rimanere insensibili alle tante voci di fratelli che non hanno più voce e non conoscono la gioia della vita, perché senza colpa sono condannati a morire di fame o a vivere un'esistenza che tale non è?
Ogni volta, vi confesso, sento parlare di Africa o delle 'tante afriche' che sono anche nelle nostre città, mi assale l'angoscia di non avere la possibilità di dare una risposta a tutti. Ed è come assistere a un pericoloso 'sbarramento nell'egoismo' di troppi, che pure si dicono cristiani, ma non sono disposti a 'recarsi nel freddo' e chiedere a Giovanni Battista: 'Cosa devo fare?'.
Cosa ci risponderebbe per diventare degni di 'fare Natale'? Bisogna non fermarsi ad un momentaneo e fugace sentimento di pietà, ma condividere. Forse ci vuole il coraggio della fede e della carità. Non si può conoscere e creare speranza senza queste due sorelle: fede e carità.
Facciamoci prendere dalle parole del giovane, che ho citato sopra: 'siamo stanchi di parole'. Un giorno scrissi, in un momento di sconforto, poiché non riuscivo ad avere braccia che arrivassero a tutti, una preghiera che vi offro: "Signore, questa sera non ho più voce, se non per dirti parole vuote. Insegnami a pregare ed amare. Signore, non so più, in questo mondo pieno di voci che tradiscono, trovare la voce che giunge a Te. Insegnami a pregare. Signore, a volte non prego neanche più, perché quasi non so più che Tu sei vicino a me. Insegnami a pregare. Signore, ora ti sto gridando che la vita mia e di tanti è vuota di senso e, a volte, non vogliamo neppure riflettere che il vero senso della vita sei Tu, Signore. Signore, insegnami a pregare. Signore, ci rimproveriamo che siamo incapaci di amare e intanto non ci ricordiamo che ogni vero amore viene da Te, è un dono. Insegnami a pregare. Signore, stasera vorrei fare vedere a tanti che mi si fanno vicini, per dirmi sofferenze e povertà, fratelli e sorelle la cui vita è stata sbagliata, che il mio volto per le lacrime diventa davanti a loro come un grumo di ghiaccio, per il dolore che condivido con loro: ma Tu, Signore, insegnami a pregare.
Signore, vorrei regalare a questi fratelli e sorelle un sorriso che dica: 'Dio ti ama come la pupilla dei Suoi occhi' ed invece ritrovo i miei occhi pieni di lacrime perché non lo so fare. Signore insegnami come si asciugano le lacrime degli uomini, come la Veronica asciugò il Tuo Volto sulla via del Calvario. Il loro ritrovato sorriso sarebbe come il ritrovato Tuo sorriso. Signore, ti prego, insegnami a pregare.