Omelia (17-12-2006) |
mons. Vincenzo Paglia |
"Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi" (Fil 4,4). Con queste parole dell'apostolo Paolo si apre la liturgia di questa domenica, chiamata perciò "domenica gaudete", la domenica della gioia. Paolo dettava queste parole mentre era in carcere a Roma - vicino a Trastevere dice la tradizione - e forse aveva già di fronte la prospettiva della sentenza capitale. Eppure esorta se stesso e i cristiani di Filippi a gioire perché, aggiunge, "il Signore è vicino". Il motivo della gioia sta proprio nella prossima venuta del Signore. Anche il profeta Sofonia esorta Gerusalemme a rallegrarsi: "Gioisci Israele e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!". Perché gioire? Sofonia spiega: "Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico...Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente...Ti rinnoverà con il suo amore" (Sof 3, 14-18). Il profeta parla della liberazione di Gerusalemme: scompare la condanna, viene tolto l'assedio alla città, il nemico è disperso e la città può finalmente tornare a respirare e a vivere. Il Signore l'ha salvata. La Parola di Dio spinge a non lasciarsi prendere dalla tristezza, a non lasciarsi sopraffare dall'angoscia. Ne avremmo tutti i motivi guardando il nostro mondo, vedendo le numerose guerre e le innumerevoli ingiustizie. Come non essere tristi e angosciati di fronte a tanta violenza? Eppure la liturgia ci esorta a gioire. Non perché - come si sente ripetere - il cristiano è per natura ottimista. No, è l'avvicinarsi del Natale il motivo della nostra gioia, il motivo della nostra speranza. Non siamo più soli, il Signore viene accanto a noi. La liturgia interrompe la stessa severità del tempo di Avvento. Vuole che si abbandonino le vesti violacee della penitenza per indossare quelle della gioia; vuole che l'altare sia ornato dai fiori e si faccia festa. Il Signore, infatti, è vicino. Per questo, tutto nella liturgia si fa invito pressante affinché ciascuno di noi si disponga ad accogliere il Signore che viene. L'esortazione è di alzarsi dal sonno dell'egoismo e dall'ubriacatura dell'orgoglio per andare incontro a Gesù. Restano pochi giorni al Natale e il nostro cuore è ancora distratto e per nulla pronto. Scrive il Vangelo di Luca che tutto il popolo era nell'attesa (Cfr Luca 3, 10-18). Tutti attendevano il Messia, colui che avrebbe cambiato il mondo, che avrebbe liberato gli uomini e le donne dalle schiavitù di questo mondo, che avrebbe aiutato i poveri, che avrebbe guarito i malati. Per questo molti, da ogni parte della Galilea e della Giudea - una folla, nota l'evangelista - lasciavano le loro città e i luoghi ove abitualmente vivevano per recarsi nel deserto ed incontrare Giovanni Battista. Anche noi abbiamo lasciato le nostre case e soprattutto le nostre faccende abituali e i nostri pensieri di ogni giorno, per venire ad ascoltare Giovanni Battista in questa Santa Liturgia. Oggi, Giovanni è qui che parla, in mezzo a noi. La sua predicazione, ha lo stesso vigore, la stessa forza di cambiamento che aveva allora nel deserto accanto al fiume Giordano. Assieme a quella folla di uomini e di donne, assieme a quei soldati e a quei pubblicani che si erano accalcati attorno a lui, ci siamo anche noi e, con loro, chiediamo: "Che cosa dobbiamo fare?". E' la nostra domanda di oggi: che cosa dobbiamo fare per accogliere il Signore che viene? Giovanni risponde con semplicità e chiarezza: Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto. E' la carità la prima risposta. Essa dispone i cuori ad accogliere il Signore che viene sotto le sembianza dei poveri e dei deboli. Rivolto ai pubblicani e ai soldati, Giovanni esorta a non esigere nulla di più di quanto è stato fissato e a non maltrattare e a non estorcere niente a nessuno. Chiede, insomma, di essere giusti, di essere rispettosi gli uni degli altri. Il predicatore del deserto ricorda che l'attesa del Messia si compie tra carità e giustizia, tra misericordia e rispetto, tra tenerezza e compassione. Non dice forse Paolo ai Filippesi: "La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini"? Il Signore verrà, scenderà nel cuore di ognuno e ci battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Nessuno resterà con quello che possiede, nessuno rimarrà così com'è. Lo Spirito Santo allargherà le pareti dei nostri cuori e il fuoco del suo amore ci guiderà. |