Omelia (24-12-2006)
mons. Antonio Riboldi
L’irrepetibile notte

Non è facile, almeno per chi davvero vede nel Natale di Gesù l'amore del Padre, che si fa vicino all'uomo, con il Dono del Figlio, trovare parole che esprimano la gioia, la profonda certezza che la nostra vita ha davanti a sé "i cieli aperti".
Forse tante volte questa gioia, che toglie la parola e lascia il posto alla commozione, alla voglia di dire GRAZIE A DIO, viene appannata dalla corsa ai "doni di natale", che non si sa quale gioia duratura possano portare.
Tanti lo hanno capito e I!, on potendo materialmente, come i Magi, portare i propri doni al Bambino Gesù, li destinano a chi, come il Bambino nella mangiatoia, non ha nulla.
Quando ero bambino la mia famiglia era davvero povera, ci fu un Natale in cui mamma non aveva nulla di particolare da mettere in tavola. Ricordo, come fosse oggi, la sera della vigilia, con papà andammo da una parente, che gestiva una macelleria, per vedere se aveva avanzato qualche briciola di carne "da fare Natale". Ma aveva venduto tutto e se ne rammaricò. Le erano rimaste le ossa dei vari prosciutti, da cui, con molta buona volontà, si poteva forse cavare qualcosina, che era rimasta appiccicata. Tornammo a casa con quelle ossa e papà riuscì a mettere insieme briciole di prosciutto... ma bastarono per "fare Natale" anche noi! Bastarono perché...la festa del Natale era altrove: era a mezzanotte, nella parrocchia. Messa di rara emozione.
Ricordo che papà, forse intuendo in me una tristezza, che non c'era, mi disse: "Che vuoi di più? Il Bambino è nato: Dio è ora con noi. E credo che Lui valga più di tutto per essere contenti". Poi sorridendo, quasi svelasse un segreto, mi disse: "Guarda che mamma è riuscita, non so come, ad avere un piccolo panettone. Che vogliamo di più?". E fu un Natale di gioia, la gioia del cuore, e mi sembrava di essere anch'io come il Bambino Gesù, che aveva nulla in quella mangiatoia, ma era la felicità di Dio.
Oggi, in questa vigilia, la Chiesa ci prepara alla santa Notte, con il racconto della visita di Maria a S. Elisabetta: "Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Quando Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta sei tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore. Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,20-48).
Maria aveva avuto la visita dell'Arcangelo: "Ave piena di grazia, il Signore è con te", che l'aveva portata a conoscenza del disegno del Padre di non abbandonare affatto chi lui aveva creato e sempre amato come figlio, noi tutti.
Il grande disegno dell'amore del Padre era quello di venire tra di noi, farsi uno di noi, per darci di nuovo la possibilità, se lo vogliamo, di diventare figli meravigliosi dell'Altissimo, ossia tornare a essere figli adottivi dell'immensa famiglia del Padre, per sempre.
Maria, dopo un momento di esitazione, aveva accettato "liberamente" la volontà di Dio, ossia "concepire il Figlio per opera dello Spirito Santo", con le parole: "Si compia in me la Tua Parola", L'Arcangelo Gabriele, come a confermarla della grandezza dell'annuncio, le aveva rivelato che anche Elisabetta, nonostante l'età matura, attendeva un figlio e sarebbe diventata madre.
L'incontro gioioso con la cugina Elisabetta, che coinvolge anche il suo bambino, Giovanni, "che sussultò nel suo grembo" è la conferma definitiva della potenza dell'Altissimo e Maria esclama: "L'anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva".
Gli scettici, davanti alle meraviglie di Dio, a queste realtà divine, possono sorridere. Hanno occhi e cuore che non sanno varcare i confini della povera terra... anche se sono confini troppo stretti e inaccettabili per chi è stato creato da Dio. Non così per le anime semplici, umili, i puri di cuore che "vedono Dio e le sue meraviglie"! Come fu per Elisabetta che, come tutte le anime grandi, attendeva l'aprirsi del Cielo e comprese il Dono che Dio aveva fatto a Maria: Colei che "aveva creduto all'adempimento delle parole del Signore".
Verrebbe voglia di prendere per mano, questa notte, tutti gli uomini semplici, aperti a Dio e farsi condurre dagli Angeli alla grotta di Gesù, per ritrovare quella gioia, che ci manca tanto, per fare conoscere a tutti l'amore che è il solo "Pane celeste per la vita del mondo".
Vorrei rivolgere a voi, carissimi, l'invito che faceva Paolo VI, il 25 dicembre 1965: "Adeste, fideles. Avvicinatevi, o fedeli. Il nostro invito si rivolge a voi fanciulli, a voi giovani. Poiché voi siete avidi di gioia e di vita. Cristo è il vero eroe che sognate, il vero amico che voi cercate. Venite. Venite tutti è l'invito di Cristo. È l'invito della pace. Cristo è la pace. Comprenderà un giorno il mondo quale profonda e unica relazione componga questo binomio, Cristo e la pace. Questa è la speranza del mondo e della civiltà. O uomini sapienti e uomini potenti, o uomini giovani e uomini sofferenti, venite, venite al Natale di Cristo, venite e cercate, cercate e trovate nel Vangelo, nella Buona Novella, annunciata per il Natale, ciò che è indispensabile alla prosperità e alla pace dell'umanità. E cioè: la scienza dell'uomo, la sua vera natura e il suo destino; la legge per l'uomo, la legge che deve forgiare ogni uomo e ogni comunità, la legge dell'amore, e perciò la fratellanza, la collaborazione, la pace. Venite, venite tutti!"
Forse quell'invito, che viene da Dio stesso con il canto degli Angeli: "Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini che Egli ama" rischia di restare inascoltato, perché storditi dai tanti "venite!" che, a suo modo, il natale pagano rivolge: un natale senza Gesù, un natale del nulla, che ci lascia insoddisfatti.
Quante volte, scorrendo la storia della mia vita da sacerdote, riscopro "il più bel Natale". Era il 25 dicembre 1968, dopo il terremoto nel Belice. Un Natale in baracca, con tanto freddo. Un Natale celebrato sotto una grande tenda, che aveva la povertà della mangiatoia. Lì lo spazio era tutto per Gesù Bambino... perché il mondo non arrivava e non arriva mai dove c'è la sofferenza e il dolore. Ma eravamo felici: tutti stretti a occupare ogni minimo spazio, come a farci sentire "una cosa sola", verso un'unica speranza, e con "un tesoro", dono di Dio, che era la gioia di essere insieme.
QUESTA NOTTE PENSO A TUTTI VOI, MIEI CARISSIMI AMICI, INCAMMINATI VERSO LA GROTTA DI GESÙ, NELLE VOSTRE CHIESE, ANCORA UNA VOLTA A CERCARE LA GIOIA CHE VIENE DAL BAMBINO.
E CHE SIA, INSIEME, TANTA, MA TANTA GIOIA.

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