Omelia (31-12-2006)
Omelie.org - autori vari


* "Ciò che saremo non è stato ancora rivelato!" Così ci è detto oggi dall'apostolo Giovanni, nella seconda lettura. Nessuno di noi conosce ancora il proprio destino, e cioè il proprio vero volto, perché è in ciò che saremo alla fine che è svelata la nostra identità profonda. Io non so chi sono. Detta così, sembra quasi un'affermazione angosciante. E in effetti, il fatto che il nostro vero destino ci sfugga, che non possediamo ancora la nostra vera identità, che non sia stata ancora rivelata, si manifesta nel fatto sperimentabile da tutti noi che in ognuno ci sono delle zone di ombra, di cui non riusciamo a scorgere bene i confini. Ognuno di noi è abitato da aspetti enigmatici, e questo a volte ci spaventa.
Ma l'affermazione potrebbe anche suonare in termini positivi. Che il nostro vero nome ci sta ancora davanti, che ancora non siamo diventati ciò che siamo, è segno che possiamo crescere, e camminare, che la vita in noi, man mano che passano gli anni e i natali, non sta diminuendo, ma crescendo. Noi stiamo vivendo sempre di più, non di meno, ci stiamo avvicinando al giorno in cui finalmente riusciremo ad essere pienamente noi stessi. Un altro anno è passato, e questo dato di realtà possiamo anche leggerlo così: ci siamo avvicinati ancora di più a noi stessi, siamo ancora più vivi dello scorso anno.
Che non saremo noi a darci un nome, ma ci sarà rivelato da un Altro, vuol dire che ciò che noi profondamente siamo è un legame, un abbraccio, una relazione. Il nostro nome ci è dato da un Altro, da chi ci ama, da chi ci viene incontro nel nostro futuro: Dio nostro Padre.

* Ma tutto questo non è automatico, lo sappiamo bene. Che la vita riesca ad essere un viaggio sempre più pieno dipende da tante cose, anche e soprattutto dagli atteggiamenti che sappiamo chiedere a noi stessi, con i quali affrontiamo ciò che il tempo della nostra esistenza ci riserva. Vogliamo leggere le tre letture di oggi proprio così, rintracciando in esse alcuni atteggiamenti e cogliendoli come quelli che ci aiutano a fare della nostra vita un cammino verso ciò che saremo.

* Nella terza lettura Luca ci fa vedere Gesù - che comincia ad affacciarsi sull'età adulta che secondo l'usanza ebraica iniziava a tredici anni con la possibilità di leggere in sinagoga la Legge - mentre sta ascoltando e interrogando alcuni uomini saggi, a Gerusalemme.

* Nella prima lettura, Anna dopo aver ottenuto dalla misericordia di Dio il dono tanto atteso della maternità, sta riconoscendo di non poter affermare il suo possesso su niente, nella sua esistenza, nemmeno su ciò che ha di più caro e desiderato, e cioè suo figlio. Egli è di Dio, e va lasciato essere ciò che è.

* Infine, sempre nel racconto lucano, Maria e Giuseppe cercano, si affannano e si preoccupano, ma non capiscono, pur continuando a custodire il mistero affidato alla loro famiglia.

* Ecco tre atteggiamenti che ci aiutano a cercare il nostro vero volto. Forse dovremmo dire meglio: tre atteggiamenti che ci preparano ad accogliere più pienamente il dono che solo alla fine ci verrà fatto completamente, il dono del nostro vero volto. Ascoltare, cercare, lasciar essere.

* Come l'ascolto sia l'unico atteggiamento che secondo la Bibbia permette all'uomo di avere una relazione con Dio, è cosa nota a tutti. Dio non si può vedere, si può solo ascoltare. Il suo volto ci rimane inaccessibile, la sua voce no. In questi giorni di Natale stiamo celebrando proprio questo grande mistero: Dio ci ha rivolto la sua Parola, essa è diventata parola umana, ci ha cercati fino a entrare nelle contraddizioni delle parole e delle esistenze delle donne e degli uomini. A noi non resta che accoglierla, ospitarla, ascoltarla. Questo è il senso vero del Natale: Dio nasce in noi nella misura in cui lo ascoltiamo.

* Una madre che confessa del figlio la indisponibilità, che sa bene come egli non sia un oggetto nelle sue mani materne, pur premurose, è l'immagine eloquente di come nella nostra esistenza spesso siamo tentati dalla volontà di possesso, di dominio, di voracità che assoggetti ogni cosa e ogni persona. Anna diventa l'icona di un atteggiamento più libero, povero, capace di accarezzare la vita senza trattenerla, di respirarla senza asfissiare niente e nessuno, di legarsi a Dio, alle persone amate, ai luoghi, ma senza nessuna possessività. Dio nasce in noi nella misura in cui smettiamo di volerlo catturare e, per così dire, lo lasciamo essere, ne rispettiamo la grande diversità rispetto a ciò che noi vorremmo che lui fosse.

* Maria e Giuseppe, nello stesso racconto lucano, cercano, si affannano, non capiscono ma continuano a camminare con questo figlio che appartiene loro sempre di meno. Consapevoli di custodire ciò che non è loro. Ma non è questo l'atteggiamento che ogni credente deve mantenere nei riguardi di Dio e della vita stessa? Mistero troppo grande per poter essere compreso, afferrato completamente, ma allo stesso tempo a noi così vicino da essere affidato alla nostra custodia, Dio nasce in noi nella misura in cui lo cerchiamo, restiamo aperti e disponibili alla sua presenza, smettiamo di presumere di averlo già conosciuto, già posseduto, già compreso.

* Oggi è la festa della Santa Famiglia di Nazareth. Guardando Giuseppe, Maria e Gesù vogliamo trovare in loro una ispirazione per la vita delle nostre famiglie. La Parola di Dio ci ha detto che questa ispirazione va ravvisata in questi tre atteggiamenti, ascoltare, cercare, lasciar essere. la festa odierna ci ricordi che le nostre famiglie possono essere il luogo in cui aiutarsi a crescere in questi atteggiamenti.
La famiglia può diventare, con il contributo di tutti, luogo in cui si impara ad ascoltarsi, ad ospitare l'altro nella sua diversità, a rispettarsi senza pretendere di essere tutti uguali.
La famiglia può diventare, con il contributo di tutti, il luogo in cui ci si lega gli uni agli altri nell'amore senza volersi trattenere, anzi aiutando l'altro a trovare la propria strada, anche se si tratta di una strada che conduce lontano, diversa da quella degli altri componenti la famiglia.
E infine la famiglia può diventare, con il contributo di tutti, il luogo in cui si impara a cercare, ad affrontare quel margine di enigma che la vita riserva a tutti, di insicurezza, ma che non diventa naufragio proprio perché ci si vuol bene, si rimane legati nell'affetto e nel sostegno reciproco anche mentre si cerca, ci si preoccupa, ci si affanna per le circostanze della vita.

Commento a cura di don Gianni Caliandro