Omelia (31-12-2006)
mons. Antonio Riboldi
Festa della Santa Famiglia

Oggi, ultimo giorno dell'anno, il mondo impazza nel fare festa, e ovunque è gara spettacolare, che è come chiudere gli occhi alle tante sofferenze che, l'anno che lasciamo alle spalle, ci ha mostrato. Gioie e speranze, angosce e sofferenze sono la varietà che ha accompagnato tanti...non tutti certamente, se pensiamo, anche solo per un istante, ai tantissimi che proprio non hanno conosciuto gioia e speranza.
Milioni di fratelli in Africa sono ridotti alla fame o costretti a fuggire dalla violenza, che è nei loro paesi; milioni, ovunque, sono trucidati in nome di guerre inspiegabili, o meglio frutto di odio, che è il 'paradiso di satana'. Pensiamo ai 'calvari', sparsi nel mondo, dove ogni giorno tanti vengono crocifissi, sfruttati per la sola legge del profitto di pochi. Ricordiamo i tanti ammalati, che hanno conosciuto solo la sofferenza o, restando in casa nostra, i tanti poveri, forse nascosti, ma che vivono alla giornata senza speranza, appellandosi alla solidarietà che, a volte, è cieca e pigra.
Eppure si fa grande festa questa notte. Se vi è una ragione 'vera' per fare festa è per ringraziare Dio della vita che ci ha donato. Sappiamo molto bene come ogni istante della nostra giornata è sempre un alito del Suo immenso amore, è sempre un 'ti amo', che è il vero senso, la vera gioia e la vera fonte della bontà.
Tutti, oggi, sentiamo il desiderio di dare uno sguardo al nostro 'diario', che è il racconto quotidiano della nostra esistenza, per cercare e sottolineare i ricordi belli, quelli, forse rari, in cui abbiamo conosciuto amore e felicità nel profondo.
E tutti abbiamo pagine che portano un fiume di lacrime e la storia della salita al nostro calvario, che non possiamo evitare, ma a cui dobbiamo dare un senso, quello di conoscere la speranza della resurrezione.
La nostra fede, che è sempre un atto di confidenza e di amore verso il Padre, ci apre il cuore alla riconoscenza per il dono della vita, che continua a farci, per la sua infinita Misericordia nel chiudere un occhio alle nostre infedeltà, al nostro capriccio di andare per le nostre strade, quasi volendo staccarci da Lui e così perderci.
Ma Lui ci è vicino anche negli 'sbandamenti'. Quante volte, quando ci siamo persi, ci ha cercati, trovati e, con incredibile amore, ci ha riportati a casa sulle spalle. Doveroso quindi dirgli: Grazie.
Necessario pregarlo, non solo perché continui a farci dono della vita, finché sarà Sua volontà e quindi 'bene' per noi, ma anche perché ci tenga sempre nelle Sue braccia... per non perderci!... e faccia trovare a tutti gli uomini la voglia di pace che Lui dona a chi ama.
Questo il significato della preghiera di ringraziamento che oggi, in tutte le chiese, viene cantata e a cui partecipiamo, se non in chiesa, almeno nelle famiglie o nel proprio intimo.
Con un pensiero di amore particolare a chi non sa dire 'grazie', perché la sua vita è stata solo sofferenza.
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Ma, oggi, la Chiesa, dopo il Natale, celebra la festa della Sacra Famiglia e il Vangelo pare ci inviti a riflettere su una realtà che - per altri versi - è di tutti i tempi, anche dei nostri figli.
Racconta sempre Luca: "I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme (Chi è stato in Terra Santa conosce la grande distanza che c'è tra Nazareth e Gerusalemme, e può valutare i disagi che hanno dovuto affrontare). Si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti, ma non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo, restarono stupiti e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. E Gesù rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,41-52).
Questo è l'unico episodio della vita da fanciullo di Gesù di Nazareth: di Lui si viene a sapere che 'cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini...ed era sottomesso a loro' e poi...silenzio fino a 30 anni.
Ma pesa, e fortemente, sulla nostra coscienza, questo sapere che Gesù a 12 anni 'prenda le distanze da ogni dipendenza da Maria e Giuseppe', affermando la ragione della Sua presenza tra di noi: la missione ricevuta dal Padre. Insegna che il suo vivere nella Sacra Famiglia era davvero un crescere nella conoscenza quotidiana del Padre, certamente condotto per mano dal contatto continuo con la Sacra Scrittura, in cui Lui, piccolo, intravedeva quello che il Padre desiderava. Il suo staccarsi dai genitori a Gerusalemme, durante la Pasqua, la dice lunga sulle priorità che il fanciullo aveva nella sua esperienza terrena tra noi.
Ma, tornando a casa, stupisce anche l'affermazione, oggi difficile a trovarsi: '...era loro sottomesso', come pure le modalità di crescita: '...in sapienza, età e grazia'.
Tutti i genitori lo sanno, o almeno dovrebbero saperlo, che vi è un'età, quella dell'adolescienza, da tanti definita 'età negata', in cui il figlio comincia a 'prendere le distanze dai genitori', cercando di affermare la propria identità, autonomia e libertà di scelta. E vorrebbe trovare 'la sua via alla vita'.
Tutto questo però, il più delle volte, è come un avventurarsi in un mondo difficile, molto difficile ed insidioso, che si presta a continui inganni, senza ancora la capacità di discernere ciò che è bello, buono, giusto e adatto a lui.
E ne abbiamo di 'vite spezzate', prima ancora che inizino il cammino vero, quello che Gesù definì: "Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".
C'è attorno una grande voglia di 'liberarsi' dai genitori, ma senza sapere a quali valori affidarsi. E nascono i tanti drammi, che sono la cronaca di tutti i giorni. Quante volte veniamo a conoscenza di sofferenze infinite di papà e mamme, nel vedersi come rifiutati dai loro figli, ancora minorenni!
Si sa che, fuori della famiglia, ci sono troppi che si offrono 'come amici di strada', con cui ci si può perdere, seguendo la storia del figlio prodigo. E non c'è dolore più grande di questo per un padre o una madre: perdere il figlio o averlo in casa più come ospite che come figlio, indifferente alle sofferenze che arreca, felice delle sue trasgressioni e dei suoi capricci.
Ma anche ricorderò sempre quella volta che, invitato ad un recital da un gruppo di giovani, alla domanda: 'Perché è così importante che io sia qui tra di voi?', la risposta, datami da uno di loro sul palco, davanti a quella sala stracolma di adolescenti e giovani, mi raggelò: 'Abbiamo bisogno di un papà, che ci voglia bene'. 'Ma non l'avete?'... come una sferzata: 'Li abbiamo, ma si curano materialmente di noi, non hanno tempo per ascoltarci e per amarci'.
Mentre scrivo è come se vedessi la grande platea di adolescenti e giovani che 'si sentono orfani' e vorrebbero un padre per imparare a crescere nella vita, senza essere traditi dalla vita, e vedo quei tanti genitori che non sanno cosa fare per catturare il cuore dei figli.
Mi resta solo la preghiera. Io sono stato fortunato, perché non mi è mancato il vero amore di papà e mamma. Quando dissi loro a dieci anni che volevo farmi prete, mi consigliarono di pregare, pregare tanto. Ma il loro amore era stato il segreto della mia crescita e si fece sostegno nella scelta della mia vita.
Offro alla vostra riflessione quanto il Santo Padre disse alle famiglie nel Convegno internazionale di Valencia, il 9 luglio: "Le famiglie sono chiamate a vivere la più alta qualità dell'amore, perché il Signore si fa garante che ciò è possibile per noi, attraverso l'amore umano, sensibile, affettuoso e misericordioso, come quello di Gesù. Insieme alla trasmissione della fede e dell'amore del Signore, uno dei compiti più grandi della Famiglia è quello di formare persone libere e responsabili. Perciò i genitori devono continuare a restituire ai loro figli la libertà, della quale per qualche tempo sono garanti. Se questi vedono che i loro genitori - e in generale gli adulti che li circondano - vivono la vita con gioia ed entusiasmo, nonostante le difficoltà, crescerà più facilmente in loro quella gioia profonda di vivere, che li aiuterà a superare con buon esito i possibili ostacoli e le contrarietà che comporta la vita umana. Inoltre quando la famiglia non si chiude in se stessa, i figli continuano a imparare che ogni persona è degna di essere amata".
E il Santo Padre chiude il suo insegnamento con questa preghiera che affido alle famiglie: "O Dio, nella Sacra Famiglia, ci lasciasti un modello perfetto di vita familiare, vissuta nella fede e nell'obbedienza alla Tua volontà. Aiutaci ad essere esempio di fede e di amore. Soccorrici nella nostra missione di trasmettere la fede ai nostri figli. Apri i loro cuori perché cresca in loro il seme della fede ricevuta nel Battesimo".
A tutte le famiglie una grazie, una preghiera e una benedizione.