Omelia (06-01-2007)
don Marco Pratesi
Luce dei popoli

La lettura di Isaia si colloca nel periodo successivo al ritorno dall'esilio in Babilonia. Si è in parte ricostruito il paese, la vita di Israele è ripresa. Però si procede in mezzo a mille difficoltà e nella povertà. È questo il piano del Signore? Che Israele lotti per "tirare avanti"? E dove sono finite le promesse profetiche di un avvenire luminoso? Il problema di Israele in questo periodo è un'esistenza grigia, insignificante, marginale.
Ma la Parola di Dio prende a chiarire il senso della situazione presente e apre nuove prospettive.
Nel periodo del postesilio Israele prende sempre più chiaramente coscienza di avere una missione universale, una funzione per tutti i popoli.
Il profeta vede tutti i popoli come immersi nella nebbia, nel buio. Solo una città risplende, illuminata in mezzo al buio: Gerusalemme. Da essa la luce - che è quella di Dio, della sua presenza radiosa, della sua Parola - si riverbera e si riflette sul mondo.
Israele non deve credere di essere insignificante: si rialzi dal suo scoraggiamento e si lasci illuminare dalla gloria del Signore; allora tutti i popoli saranno illuminati dalla sua luce, e si riconosceranno suoi debitori.
La Chiesa ci propone questa lettura nella festa dell'Epifania: da Israele risplende sul mondo la luce dei popoli, che è Cristo. Attraverso di lui Gerusalemme ha davvero illuminato il mondo. Cristo è la luce delle genti, ci ricorda il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium 1), e la Chiesa "desidera ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa".
Ma Israele, nella sua lunga storia, ha dato anche direttamente un contributo importante al cammino dell'umanità.
Tra le altre cose, offrendo anche all'Islam quella grande luce che è la credenza in un Dio unico, il monoteismo.
Così Israele, nella sua piccolezza, e se vogliamo insignificanza, è stato posto da Dio, sia in modo mediato che immediato, come faro nel cammino dei popoli.
Concludiamo cogliendo tre insegnamenti.
Primo: la promessa di Dio non è mai ingannevole. Il suo piano rimane saldo e prosegue attraverso tutti i momenti, belli o brutti, oscuri o luminosi. Non sappiamo come la Parola si realizzerà, ma sappiamo che si realizzerà. Per questo dobbiamo sempre dare fiducia a Dio.
Secondo: quando Dio chiama (una persona, un popolo) chiama a vantaggio di tutti. La vocazione non è fine a se stessa, ma inserisce il chiamato (singolo o popolo) in un progetto che lo supera. La stessa Chiesa non è fine a se stessa, ma è "segno e strumento dell'unione tra l'uomo e Dio, e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen Gentium 1).
Terzo: come il citato passo conciliare esprime bene, il progetto di Dio è l'unità della famiglia umana, la fraternità universale. Forse non è inutile richiamarlo in questi tempi di paure e contrapposizioni. Il traguardo ultimo della storia è la Gerusalemme nuova, la città dove Dio dimora insieme ai suoi figli e tutti gli uomini vivono da fratelli.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.