Omelia (31-12-2006)
padre Antonio Rungi
La Famiglia di Nazareth, esempio di vita per tutte le famiglie

La conclusione dell'anno solare 2006 coincide, quest'anno, con la festa della santa Famiglia di Nazaret. Una celebrazione che è la sintesi di un cammino spirituale che come singoli o membri appartenenti alla grande famiglia cristiana, umana, religiosa abbiamo compiuto in questo anno che si chiude oggi di cui ringraziamo il Signore per avercelo donato con generosità. Migliore conclusione non poteva esserci in quanto la parola di Dio di questa Domenica ci riporta alla bellezza di questa unica ed irripetibile famiglia umana, nella quale è presente Gesù, il Figlio di Dio, ma anche la Vergine Maria e il padre adottivo di Gesù, San Giuseppe. Tre grandi icone che ci richiamano il senso più vero della famiglia cristiana ed il modo nella quale viverci da protagonisti, anche se ognuno ha una missione da compiere e un progetto di Dio da attuare, progressivamente nel tempo. Il testo del Vangelo di Luca ci riporta al momento della smarrimento e del ritrovamento di Gesù, facendo da collegamento spirituale e non storico o temporale tra la nascita di Gesù, celebrata nell'annuale solennità del Natale e l'Epifania alla quale siamo idealmente proiettati, che poi chiude il tempo natalizio, ovvero il tempo della celebrazione del mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio nella storia dell'uomo. "I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini".
Nonostante le difficoltà, questa singolare famiglia è unita e i vari componenti, ognuno per il suo verso, è responsabile nei confronti dell'altro. Qui vediamo particolarmente sottolineata da un lato la missione che Gesù è chiamato a svolgere e dall'altra la preoccupazione dei suoi genitori quando non lo trovano tra coloro che fanno ritorno da Gerusalemme dove essere andati a celebrare la Pasqua. La difficoltà e l'incomprensione vengono superate da una visione d'amore e soprattutto nella continua disponibilità di cercare e di attuare la volontà di Dio da parte di Gesù e da parte di Maria e Giuseppe.
E sull'amore è incentrato il testo della seconda lettura di oggi tratta dalla prima lettera di San Giovanni Apostolo: "Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato".
Veniamo educati all'amore, anche nella più stretta accezione del termine che Giovanni qui ci presenta, nelle nostre famiglie. Se le nostre famiglie sono scuole di autentico amore tra tutti i loro componenti, l'educazione all'amore diventa quasi un fatto automatico e non ci peserà nulla se ogni cosa che facciamo la progettiamo e la eseguiamo nell'ottica dell'amore verso Dio e verso i fratelli.
E' molto importante nel contesto della celebrazione della festa odierna il gesto di Anna di offrire al Signore il suo figlio, Samuele, che ella riconosce di avere avuto in dono. Il figlio non è un diritto e una pretesa della donna, dell'uomo o meglio della coppia è un dono di Dio e ogni dono va accolto con amore e responsabilità, senza forzare la volontà di Dio e la tecnica per ottenere egoisticamente ciò che la natura per misteriosi fatti non concede a volte agli sposi, ovvero la gioia di un figlio. "Così al finir dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. "Perché - diceva - dal Signore l'ho impetrato". Quando poi Elkana andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il voto, Anna non andò, perché diceva al marito: "Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre". Dopo averlo divezzato, andò con lui, portando un giovenco di tre anni, un'efa di farina e un otre di vino e venne alla casa del Signore a Silo, e il fanciullo era con loro. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e Anna disse: "Ti prego, mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch'io lo do in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore". E si prostrarono là davanti al Signore".
Di fronte alla cultura di morte che si diffonde sempre più nella storia odierna, questo testo ci riporta alla bellezza del dono della vita, della maternità e della paternità. Vorremmo che il clima natalizio che respiriamo in questi giorni sia soprattutto un clima di difesa della vita e specialmente della vita dei più deboli. E tra questi deboli ci sono i bambini concepiti e che devono essere accolti ed accuditi con singolare amore dalle madri proprio mentre si sviluppano nel loro grembo, per poi venire alla luce, oppure dei tanti bambini smarriti, dimenticati e abbandonati a loro stessi nelle piccole o grandi città di questo mondo che ha bisogno di ridare dignità all'infanzia e alla famiglia nel suo insieme, come famiglia normale, dove i bambini devono crescere con l'amore e l'attenzione di entrambi i genitori.
Questa sia la nostra preghiera non solo di oggi ma di sempre per noi e le famiglie di tutto il mondo: "O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell'aurora del mondo, divenisse membro dell'umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome".