Omelia (02-02-2003)
don Roberto Rossi
Luce per illuminare le genti

Il 2 febbraio – 40 giorni dopo il Natale – è la festa della presentazione di Gesù al tempio.

E' una festa spiccatamente Cristologia. E' Cristo che viene riconosciuto e presentato dal vecchio Simeone, come luce del mondo "luce per illuminare le genti". Il Bambino è presentato al tempio da Maria, assieme a Giuseppe; si ricorda il rito ebraico della purificazione di Maria. Per questo la giornata ha anche una connotazione mariana nella nostra tradizione. La consuetudine di benedire e accendere le candele e portarle a casa in benedizione fa riferimento sempre a Cristo che è la luce "che illumina ogni uomo". Simeone poi lo presenta come gloria del popolo d'Israele e anche segno di contraddizione.

E' importante accogliere e contemplare Cristo luce del mondo, luce della nostra vita, senso pieno di ogni esistenza.

Scrive il S. Padre nella Novo Millennio Ineunte: "Chiediamo anche noi di poter vedere Gesù. Come gli antichi greci di cui parlano gli Atti, anche gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo vedere. E non è forse compito della chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?

La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto. Il nostro sguardo resta più che mai fisso sul volto del Signore. Alla contemplazione piena del volto del Signore non arriviamo con le sole nostre forze, ma lasciandoci prendere per mano dalla grazia. Solo l'esperienza del silenzio e della preghiera offre l'orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, aderente e coerente, di quel mistero, che ha la sua espressione culminante nella solenne proclamazione dell'evangelista Giovanni: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Come dice Simeone: "I miei occhi hanno visto la salvezza!".

Nella nostra parrocchia, come in tutta Italia, celebriamo la Festa della Vita, con alcuni momenti e gesti che si modellano sul vangelo. Si legge: "Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore". Abbiamo invitato i genitori dei bambini da uno a dieci anni, con un invito particolare a quanti hanno ricevuto il battesimo nell'ultimo anno, a partecipare alla Messa parrocchiale. All'offertorio sfileranno in processione dal fondo della chiesa fino all'altare, "per offrire il proprio bambino al Signore" e lasceranno sull'altare, in preghiera, un lume acceso, invocando tutta la grazia e la benedizione del Signore sui propri bambini e su tutte le famiglie. Sarà un momento forte di fede, di amore, di impegno cristiano.

Che cosa può significare oggi "presentare il proprio bambino al Signore"? Significa riconoscere che i figli sono un dono di Dio, che appartengono a Lui, prima ancora che al papà e alla mamma. E'm Dio infatti che infonde nel bambino, al momento tesso del concepimento, il principio spirituale che chiamiamo anima. Procreare significa collaborare con Dio che è l'unico creatore. La Bibbia ci presenta una mamma che, guardando i suei sette figli, esclama, con stupore: "Non so come siete apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita... ma il creatore del mondo che ha plasmato fin dall'origine l'uomo".

Non basta offrire i figli al Signore una volta sola, all'inizio della vita; bisogna poi educarli nella fede. I genitori sono i primi evangelizzatori dei figli, anche con le piccole cose, con le preghiere che insegnano, le risposte che danno alle loro domande, i giudizi che esprimono in loro presenza. Si dice di Gesù: "Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui". E un giorno Gesù dirà: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio".

Presentare i figli al Signore, educarli alla fede, significa anche accettare che nella libertà delle loro scelte crescano fedeli al Signore o anche che attraversino periodi di crisi.

Uno scrittore spirituale dice: "Quando si è fatto tutto il possibile e non si può più parlare di Dio ai figli è giunto il momento di parlare a Dio dei figli, cioè di pregare per loro, sempre".

In questa giornata in cui ricordiamo la vita consacrata si deve comprendere che i figli sono sempre un dono di Dio, che è un dono ogni vocazione alla quale sono chiamati, che è un dono grande e speciale del Signore la vocazione ala vita consacrata, per la lode di Dio e per il ben di tutta l'umanità.