Omelia (18-03-2001) |
padre Tino Treccani |
La solidarietà di Dio é sterile senza la collaborazione delle persone. Il testo di oggi si inserisce nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme; Luca lo interpreta come un giudizio di Dio, un itinerario teologico di liberazione. In questo viaggio emerge chi si solidarizza col progetto di Gesù e chi gli mette ostacoli. Da Gerusalemme - città in cui il Figlio di Dio verrà assassinato - la Parola giungerà a tutti, sotto l'impulso dello Spirito Santo e manifesterà la solidarietà di Dio con tutte le persone. 1. Le tragedie umane non sono castigo di Dio (vv. 1-2) Secondo la mentalità del tempo, basata nella dottrina della retribuzione, si supponeva che le catastrofi fossero un castigo di Dio: ha peccato, adesso paga! La tragedia descritta nel 1º v. forse si riferisce a questo fatto: Pilato, volendo costruire un acquedotto, decise di utilizzare il tesoro del Tempio per finanziare la costruzione. Ciò provocò la resistenza di un gruppo di Galilei, assassinati mentre offrivano sacrifici nel Tempio. L'altra tragedia (v. 4), di difficile identificazione storica, riporta la caduta della torre di Siloe, uccidendo 18 persone. E allora: castigo di Dio? 2. La risposta di Gesù: Dio è offerta di grazia per tutti (vv. 2-5) Gesù stronca l'idea che Dio esista per castigare. Non è un Dio vendicativo, ma il Dio buono. "Se non vi convertite, morire tutti allo stesso modo" (vv.3.5). Le tragedie umane sono un invito all'accettazione del progetto liberatore iniziato da Gesù. In lui tutti avremo libertà e vita. Rifiutando questo progetto le persone si distruggono tra loro e creano un crescente numero di esclusi. In Gesù è offerta la più ambiziosa e realizzante promessa di Dio: fare l'esperienza di Dio, solidario in tutto fino alla fine. Ma per questo è necessario un cambiamento di mentalità (metànoia). Se le persone non fanno questo cambiamento saranno sempre complici di morti costanti, della propria morte di Gesù e costruttrici della propria disgrazia. 3. Dio è radicalmente buono, generoso e paziente (vv.6-9) La parabola del fico è molto interessante. La pianta di fico è una delle piante più comuni e generose della Palestina. Generalmente è piantata in mezzo alle viti - il simbolo più eloquente di Israele - e producono frutti per dieci mesi ininterrottamente. Il fico pure rappresenta il popolo eletto e in questa parabola è molto evidente. Ma non è solo il popolo di Dio, bensì tutti coloro che ascoltano la Parola. Dio ha piantato l'albero del fico e cerca frutti. Gesù è l'agricoltore. I tre anni possono essere il periodo della predicazione, dopo di quali si aspetterebbe abbondanza di frutti. Non trovando frutti, il padrone emette una sentenza severa: visto che Israele è un fico ozioso, non ha senso che continui a vivere. Forse Luca pensa al rigetto sistematico del Vangelo praticato dalle guide politico-religiose di quel tempo (cfr. Atti degli Apostoli). La grande novità viene attraverso l'azione dell'agricoltore: concima la pianta, segno di una dedicazione speciale; i contadini del tempo sapevano che il fico non aveva bisogno di fertilizzante. Gesù oltrepassa le aspettative. Scommette nelle persone ben oltre ciò che possa sembrare assurdo. Questa è la solidarietà di Dio. Rimane una domanda sospesa: questa solidarietà troverà risonanza? L'agricoltore, non avrà forse lavorato inutilmente? La solidarietà di Dio può diventare sterile se non c'è l'impegno delle persone. Per riflettere Spesso e volentieri, affamati di vita e di libertà, osiamo personificare la presenza di Dio, dimenticando la speranza, il lavoro e la fede dell'agricoltore. Esigiamo produzione di "opere buone" dalle persone, come se fossimo i padroni del vigneto dell'umanità. Avanziamo anche ragioni valide: perché assistere allo spreco di terra e di forze, dato che abbiamo constatato e dimostrato l'improduttività di chi non la pensa come noi, di chi, pur piantato nella Vigna del Signore, sembra sterile davanti alle nostre teorie della retribuzione? É un vizio di impazienza manichea che ama sviscerare in dicotomie la complessità della persona umana. Il concime della pazienza, del dialogo, della proposta, insegnatoci dall'Agricoltore è l'opportunità che ogni persona dovrebbe meritare. Gesù ci garantisce che la misericordia divina non conosce limiti: "può darsi che il prossimo anno produca frutti". Siamo artisti nel "progettare per gli altri"; forse, lo siamo meno, nel "fare e stare" con gli altri. L'Agricoltore non taglia nessuna pianta: la sua umiltà profonda caratterizza il suo porsi davanti al mistero divino e rispetta, con intercessione e garanzia di impegno, costi ciò che costi. Una comune pianta di fico diventa per noi simbolo e strumento di "cambiamento", della evangelica "metànoia". Senza questa, pur immensa che sia la pazienza dell'Agricoltore, la pianta che non produce frutti sarà tagliata. Sperperare la capacità di amare, di perdonare, di creare comunione, veri frutti sperati e desiderati, è il limite oltre il quale, Dio stesso, non può fare niente. Senza la nostra collaborazione, rendiamo sterile la solidarietà divina. A niente serve elencare le colpe degli altri. La nostra vita non si salva per i "meriti", perché la nostra razza è santa per tutti: a sua immagine siamo stati creati. Siamo un'opera d'arte del maggior artista che esiste. Il nostro Agricoltore aspetta frutti buoni. Per questo esistiamo. Questi frutti non sono un'imposta che dobbiamo pagare al Creatore per il diritto di esistere. Essi sono la nostra propria realizzazione personale, che dà senso alla nostra vita, per noi stessi, per i nostri fratelli, per il mondo che deve diventare migliore per il fatto che vi viviamo. Quindi è bene abbandonare il vizio di sentirci emissari di un Dio castigatore per causa delle sterilità umane. Senza prima convertirci all'alimento della fede, all'amore salvatore manifestato in Gesù, giustificheremo sempre le disgrazie altrui con atteggiamenti orgogliosi, per dimostrare la nostra superiorità o presunta buona coscienza. A noi spetta solo accogliere la proposta di Gesù e far fruttificare la nostra vita, convertendoci. Nella parabola si dà una nuova chance alla pianta di fico: non è un tempo lungo o indefinito, è adesso, l'ora migliore per entrare nel processo di conversione. Non abbiamo tempo da perdere: si tratta della qualità della nostra vita e la vita non si può sprecare. Come è bello svegliarsi con un progetto nel cuore per il giorno che inizia: solo per oggi sarò più generoso, più fedele a Dio, più fraterno, meno egoista, più veritiero di ieri. Ed ogni giorno, ripeterci e proporci: solo per oggi... e così per tutta la vita: non distruggere gli affetti per mancanza di impegno, non perdere i sogni frustrati dalla mancanza di perseveranza. É molto triste guardarci indietro e constatare che siamo una pianta di fico che non ha saputo produrre frutti. Se così fosse, è ora di rimboccarci le maniche e credere fortemente nella pazienza dell'Agricoltore. |