Omelia (10-01-2007) |
mons. Vincenzo Paglia |
Dopo il passaggio nel deserto Gesù torna in Galilea e inizia a parlare. Non parte dalla Giudea e da Gerusalemme, centro sia del potere religioso che politico d'Israele, bensì dalla periferica Galilea, una regione che non godeva di buona fama, abitata da gente povera e abbandonata. Luca scrive che Gesù si muoveva "con la potenza dello Spirito Santo", come per sottolineare che Gesù non agisce per proprio conto o per propria iniziativa. Egli non è un protagonista che vuole apparire e far parlare di sé, come tutti noi siamo tentati di fare. E neppure agisce per realizzare se stesso. Gesù opera per obbedire al disegno del Padre e questo disegno vuole realizzare. Non è venuto per fare la sua volontà, ma quella del Padre. Per questo, il suo passaggio e le sue parole creano un clima nuovo, di festa, che ben presto si estende in tutta la regione. E quanto accade anche a chi lo segue. Gesù si presenta nella sinagoga di Nazareth. Non era certo la prima volta che vi entrava; Luca sottolinea che era solito andarci. Ma fu la prima volta che si esprimeva in quel modo. Dopo la lettura del brano di Isaia nel quale si annunciava l'avvento del Messia con la narrazione delle opere di liberazione che avrebbe compiuto, Gesù si alzò e disse: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura". La reazione dei presenti fu inizialmente di meraviglia e di stupore. Ma poi si mostrarono decisamente ostili, tanto da tentare di ucciderlo. Cosa era accaduto? I nazareni non vollero accettare che uno di loro, che conoscevano da ragazzo e che avevano visto crescere, potesse parlare con autorità sulla loro vita. Gesù proclamava un "anno di grazia", ossia la fine di ogni oppressione; e ognuno doveva convertire il proprio cuore su quella via. I nazareni rifiutarono che il Vangelo avesse autorità sulla loro vita. Accade così anche a noi ogni volta che rifiutiamo di ascoltarlo. |