Omelia (21-01-2007) |
padre Gian Franco Scarpitta |
A Nazaret nulla di nuovo Gesù annuncia che in se stesso si è realizzata la promessa di Dio dello Spirito del Signore che reca il lieto annuncio ai poveri e la salvezza a tutti i popoli e a tutta l'umanità ma questo non rende affatto felici i cittadini di Nazaret che riuniti nella sinagoga fissano tutti gli occhi su di lui pendendo dalle sue labbra. L'atteggiamento da parte loro nei suoi confronti si trasforma repentinamente: da persone affettuose, accoglienti e benevole si trasformano in avversari agguerriti e addirittura pericolosi per la sua stessa incolumità. Questi Nazareni ribelli e ostinati strabiliano alle parole di Gesù, dopo che questi, una volta letto il libro del Profeta Isaia, dischiude le labbra per un commento sullo scritto. Si meravigliano di lui accusandolo di bestemmia, rivoltandoglisi tutti contro un po' come se dovesse avvenire che io sacerdote, nella mia terra di origine, parlando ai miei concittadini che mi hanno visto crescere, cominciassi a lanciare invettive, insulti e accuse... Quello che aveva appena finito di dire costituiva infatti motivo di scandalo e di feroce riprovazione da parte di tutti, poiché lui, "figlio di Maria e di Giuseppe", che era stato da tutti conosciuto come un bravo ragazzo e zelante osservatore della Legge di Mosè, adesso "pretendeva" di adempiere le promesse di liberazione del popolo preannunciate in tempi remoti e pertanto di definirsi lui stesso Messia e Salvatore... Che cosa sta succedendo? Nulla di particolare: Gesù viene considerato dai suoi concittadini sotto il solo punto di vista umano e pertanto l'annuncio che Egli reca non fa effetto nella sensibilità degli astanti. Probabilmente non erano bastata la profezia di Malachia che aveva preannunciato la venuta del Messia a Betlemme di Giuda, né quella di Isaia sul Dio- con- noi che nasce da una vergine e ricondotta poi da Matteo e neppure la meraviglia del Natale quando il silente Bambino Gesù aveva attirato a sé una molteplicità di pastori e perfino i Magi dall'Oriente. In virtù di questi eventi Gesù doveva essere per forza riconosciuto come il Salvatore e quindi l'interpretazione del testo di Isaia non avrebbe dovuto sortire effetti devastanti sul popolo. Ma chi non si lascia catturare dal Mistero e chiude il cuore alla Rivelazione di Dio non può mai essere destinatario della salvezza e la stessa Parola non potrà mai fare effetto su nessuno quando ci si ostina nella valutazione delle cose con molta superficialità. Lo abbiamo detto più volte e lo ripetiamo ancora: chi non apre il cuore all'ascolto della Parole e non si dispone all'adesione ad essa nello spirito del ravvedimento e della conversione non otterrà mai che Essa incida nella sua propria vita; e nemmeno il più sconvolgente dei miracoli e delle apparizioni potrà apportare una qualsiasi trasformazione in chi si ostina a ricusare il dono della Rivelazione di Dio. Se il Signore ti si manifesta, sta a te accogliere la sua venuta e aderire al suo messaggio di salvezza nella completa e disposta adesione attraverso la radicale presa di coscienza dell'efficacia del suo messaggio di salvezza, il che è convertirsi a lui. Diverso è invece l'atteggiamento del popolo di Israele a proposito della Prima Lettura di oggi, molto più antica ma non per questo meno esemplare per tutti quanti noi: si tratta della rivelazione della Legge al popolo per mezzo di Neemia e di Esdra, il primo governatore l'altro scriba, dopo il rientro degli Israeliti in patria dall'esilio babilonese e in questo singolarissimo episodio avviene che la parola della Legge viene trasmessa in un modo talmente comprensibile e immediato che perfino chi non è in grado di comprendere, come i bambini, riesce a carpirne tutto il senso sicché tutti prestano devota attenzione a quanto viene letto dallo scriba Esdra, si acclama e addirittura si piange. Si, il popolo si commuove di fronte alla portata grandiosa della Legge che determinerà il cambiamento di tutta la sua vita e ciò suppone che vi sia in ciascuno degli uditori apertura di cuore e zelo nella messa in pratica di quanto si ascolta. Di fronte al messaggio e al dono di Dio occorre abbandonare le attitudini umane che pongono obiezioni e limitano la grandezza del Mistero e ogni disattenzione va rifuggita e se Dio parla al cuore dell'uomo l'uomo deve avere un cuore da Dio e questo ammonimento vige anche per i nostri giorni in cui si usa troppa soggettività nei nostri rapporti con il Signore e in materia di fede, mentre la nostra vita di tutti i giorni non è affatto plasmata dall'impronta della Parola se è vero che serpeggia lo stesso atteggiamento di umanità prevalente nel concepire Cristo e che il nostro primario oggetto di fede lo si sottomette ai nostri gusti costringendolo alle nostre aspettative. Si vuole un Cristo ad uso e consumo nostro e anche nella nostra cultura religiosa la Parola di Dio non incide nella nostra vita non già perché essa manchi di efficacia ma perché ad essa noi si suole opporre resistenza e non ci si lascia plasmare. Ne deriva che non di rado, tutte le volte che si esce dalla chiesa dopo le funzioni domenicali, si torna alla stessa realtà di tutti i giorni perseverando non di rado nelle cattiverie e negli stessi peccati. Certo, la vita sacramentale e la preghiera un po' alla volta apportano sempre nel fedele un'impronta di trasformazione e di edificazione nella sua vita, tuttavia sarebbe ideale che ogni volta che noi ci intratteniamo all'ascolto della Parola domenicale questa ci suggerisse di volta in volta un criterio di comportamento da applicarsi nella nostra vita di tutti i giorni, sicché una volta seguita la liturgia ci si domandi se essa ha fatto effetto su di noi e come possiamo metterla subito in pratica. In tal caso non vi sarebbe dubbio che la Parola del Signore è stata da parte nostra accolta e assimilata. Chissà se ogni domenica, tornando a casa dopo la Messa, noi siamo soliti commentare il Vangelo ascoltato o l'omelia del sacerdote? Questo esercizio potrebbe in un certo qual modo aiutarci nel senso suddetto. |