Omelia (14-01-2007) |
don Marco Pratesi |
Festa di nozze "Per Sion non mi terrò in silenzio, per Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada" (v. 1). Chi parla qui? Potrebbe essere Dio, che afferma la sua volontà incrollabile di portare avanti il suo progetto fino al suo completamento; oppure il profeta, che proclama il suo desiderio intenso della piena salvezza di Israele. In fondo le due risposte sono complementari: il profeta si sintonizza sul desiderio di Dio, desidera quello che Dio desidera (e gli fa desiderare): le nozze tra Dio e il suo popolo. Al ritorno dall'esilio, quando il profeta parla, Israele è in una situazione che possiamo definire - guardando al vangelo di oggi, le nozze di Cana - nella quale "manca il vino": mancanza di entusiasmo, senso di pesantezza. Dio, per mezzo del profeta, spinge il suo popolo ad alzare la testa per guardare al momento delle nozze, della festa dell'amore pieno tra Dio e Israele, quando l'amore diventerà gioia piena, e quindi lode, canto, celebrazione. Ogni amore è dire al tu amato: "è bello che tu ci sia". Sta qui il senso di ogni vita umana. Nata dalla sorgente dell'amore gratuito di Dio, essa è chiamata a sfociare nuovamente in esso. La tradizione cristiana ci presenta il paradiso come perenne liturgia di lode, cosmo risuonante di canti e acclamazioni: oltre e più in alto di questa, non esiste altra meta. Di fronte alle nostre desolazioni dobbiamo richiamarci, oggi, questa prospettiva. È la sfida che questa profezia ci pone; poiché le desolazioni non mancano. Nella vita personale: tutto ciò che ci fa sentire alla deriva, soli, abbandonati. Nella vita della Chiesa: oggi non sembra simile per certi versi a quella Gerusalemme abbandonata di cui parla il profeta? Non siamo spesso tentati dallo sconforto? Desolazioni nella vita dei popoli: ingiustizia e violenza diffusa inducono facilmente a un pessimismo amaro. No, tutto questo non è l'ultima parola. Esiste un'altra Parola. Una Parola che si è fatta carne - da poco l'abbiamo celebrata nell'umiltà della sua nascita. Gesù è lo sposo. La sua presenza salva la festa della nostra vita che rischia di fallire, dandogli - fin da ora - il gusto frizzante del vino nuovo che solo lui sa donare. Il banchetto eucaristico è umile anticipazione del banchetto nuziale dell'Agnello; richiamo a rialzare sempre la testa da ogni desolazione, con lo sguardo rivolto a quella festa nella quale, in una inimmaginabile pienezza di vita, "come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te" (v. 5). Amen. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |