Omelia (14-01-2007)
mons. Vincenzo Paglia
Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli a Cana di Galilea

Introduzione

Non è venuta la mia ora, dice Gesù alla Madre che, a tutta prima, sembra essere stata importuna dicendo: "Non hanno più vino".

Cos'è l'"ora"?

Per Giovanni è il momento cruciale, del Calvario anzitutto; la cruna dell'ago attraverso cui deve passare per essere rivoltata tutta quanta la storia, di tutti gli uomini e di tutti i tempi; ma l'ora è anche il tempo della missione pubblica che la prepara: quello è il tempo dei segni, dei miracoli!
Anche Gesù obbedisce ad un tempo che non è il suo, che il Padre gli ha assegnato, di cui egli non è più in un certo senso padrone perché, pur essendo Dio, ha lasciato la sua forma divina presso il Padre e non vuole disporne come uomo.

L'umanissimo miracolo di Cana è un miracolo della fede di Maria. Come sarà per la cananea, come avverrà per il centurione, la fede di Maria ottiene dal Padre che Gesù anticipi l'ora. E si vede allora la forza della "donna" che apre qui al banchetto di Cana e chiude sotto la croce gli estremi dell'"ora".

La forza della fede brilla pure nella gioia del maestro di tavola mentre gusta il buon vino: la compagnia di Dio all'uomo è umanissima ed integrale. "Non di solo pane", dirà Gesù, ma intanto fornisce ai commensali, che allietano gli sposi, dell'ottimo vino.

Omelia

La liturgia di questa domenica continua a sviluppare il mistero della manifestazione del Signore che abbiamo celebrato nel giorno dell'Epifania. L'antica liturgia cantava: "Oggi la Chiesa si unisce al celeste Sposo: i suoi peccati sono lavati da Cristo nel Giordano; i Magi accorrono alle regali nozze portando doni; l'acqua è mutata in vino a Cana e gli invitati al banchetto sono nella gioia. Alleluia". In realtà, si può dire che ogni domenica celebriamo il mistero della epifania del Signore. Egli si manifesta a noi nella santa liturgia: ha i tratti del risorto, di colui che ha vinto il male e la morte, che ha cambiato la solitudine in comunione, la tristezza in gioia. Ogni domenica è Pasqua, il momento più alto dell'Epifania del Signore. Per questo la santa liturgia assume il tono festoso e veste gli abiti della solennità: siamo sottratti dalle nostre case e dai nostri ritmi quotidiani per essere ammessi alla presenza di Dio, per ascoltare la Sua Parola, per rivolgere a Lui la nostra preghiera, per gustare la dolcezza della Sua mensa.

L'evangelista pone l'episodio delle nozze di Cana al termine della narrazione di una settimana di Gesù. Nei primi giorni Gesù era stato con Giovanni Battista al Giordano, nel quarto aveva chiamato i primi discepoli ed era stato con loro, nel settimo giorno conclude recandosi a Cana per partecipare alla festa di nozze di due suoi amici. Il racconto inizia con una notazione temporale: "Tre giorni dopo ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea". Non è a caso che l'evangelista ponga il miracolo di Cana a chiusura della settimana. Egli ricorda a tutti noi che anche la settimana della creazione terminò con il giorno del riposo e della festa. Non solo. Più avanti scriverà che Gesù, tre giorni dopo la sua morte, risuscitò. Il segno di Cana, perciò, va ben oltre il semplice episodio di quel matrimonio. Unisce il riposo della creazione e l'inizio del tempo nuovo del Signore risorto. Cana è la festa del cambiamento, è il giorno della rinascita, è il giorno della gioia di stare con il Signore. Cana è la domenica; è il giorno della nostra festa, il giorno nel quale veniamo raccolti e - come scrive il profeta Isaia - siamo "una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più 'abbandonatà né la tua terra sarà più detta 'devastatà ma tu sarai chiamata 'mio compiacimento' e la tua terra 'sposatà perché il Signore si compiacerà di te" (Isaia 62, 3-4). Dovremmo riscoprire così la grazia della domenica, il giorno in cui il Signore ci tiene in mano come lo sposo tiene la sposa nel giorno del matrimonio.

Questo brano evangelico è tra quelli che forse conosciamo meglio. Tutti ricordiamo la madre di Gesù che, unica, si accorge che sta finendo il vino. Non è preoccupata per sé o per il suo apparire. I suoi occhi e il suo cuore guardano e si preoccupano che tutti siano felici, che quella festa non sia turbata. Si avvicina quindi al Figlio e gli dice: "Non hanno più vino". Maria sentiva anche sua quella festa; sentiva anche sua la gioia dei due sposi. Il senso vero delle parole di Maria, perciò, possiamo tradurlo così: "Noi non abbiamo più vino". Dovremmo dirlo ogni giorno per noi e per i tanti che hanno bisogno di aiuto, di misericordia, di perdono, di amicizia, di solidarietà. Quando tutti costoro potranno vedere il miracolo di Cana? Quando il Signore potrà compiere per loro il "segno" che salvò la festa in quel giorno a Cana? C'è bisogno dei "segni" del Signore, della sua presenza. E a Cana Maria indica la via ai servi: "Fate quello che egli vi dirà". E' la via semplice dell'ascolto del Vangelo; una via che tutti possiamo percorrere. Quel che conta è obbedire al Vangelo: di qui iniziano i segni del Signore, i suoi miracoli in mezzo agli uomini.

I servi, vanno dal Signore e si sentono dare un singolare comando: "Riempite d'acqua le giare". E' un comando semplice; tanto semplice da indurre a non farlo: cosa c'entra tutto ciò con la mancanza di vino? Ma obbediscono. E dopo aver riempito le sei giare si sentono dire di attingere e portare a tavola. Un comando che appare ancora strano. E tuttavia ancora una volta obbediscono. La festa è salva. Anzi finisce in crescendo, come riconosce lo stesso maestro di tavola: "tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono". Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea. Abbiamo somigliato le nostre domeniche a Cana, e potremmo paragonare le sei giare di pietra ai sei giorni della nostra settimana. Riempiamoli come fecero i servi con la forza del Vangelo e anche i nostri giorni saranno più dolci e più belli. Cana può essere davvero la festa della domenica che, attraverso il dono del Vangelo, ci permette di conservare il vino buono del Signore per l'ultima settimana.