Omelia (14-01-2007) |
don Mario Campisi |
Una nuova Epifania L'epifania è completata in questo anno dalla manifestazione del miracolo delle nozze di Cana. La liturgia ricorda oggi che un'era nuova è cominciata nel rapporto tra Dio e l'uomo: la gioia è ricomparsa sul mondo. Il miracolo di Cana offre parecchi spunti; questo della gioia è il primo inteso dalla liturgia. Il tema della festa o della gioia cristiana torna anche in altri momenti, ma il filone è sufficientemente ricco per alimentare la riflessione a più riprese. Isaia canta la gloria di Gerusalemme dopo l'esilio; e dopo la devastazione essa ritorna ad essere città "del mio compiacimento", città "sposata" da Dio. Al tema della festa si unisce il tema nuziale. Gli scrittori dell'A.T. non trovano immagine migliore del matrimonio per parlare del legame tra Dio e il popolo eletto. E il matrimonio è di scena nella pagina del Vangelo di oggi. Un miracolo provocato, quasi "imposto", da Maria per rimediare ad un inconveniente che non era... la fine del mondo e che forse ammetteva anche altre soluzioni o rimedi, come andare subito a cercare del vino nel vicinato. Il miracolo sblocca l'animo dei discepoli e li apre alla fede: fa capire chi è Gesù e di quale potenza è dotato; rivela pure il suo interesse per il benessere e la felicità dell'uomo. Provare che il cristianesimo nella storia ha lavorato alla felicità dell'uomo non ci sono dubbi. Interessa tutti, e da vicino, sapere se e in che modo la fede può contribuire al benessere e alla felicità dell'uomo di oggi. Ci sentiamo di dire ad un amico: - Se tu accetti di vivere la fede, starai meglio? Anche in questa vita? - Mi pare che possiamo trasformare la domanda in affermazione senza esitare. Sgombriamo il terreno: la fede non garantisce maggior salute, più soldi, più successo. Anzi, al contrario, impedisce il facile arricchimento legato alle bustarelle e all'imbroglio, rende ligi al dovere; pone un freno al piacere smodato. Questi fattori sembrano favorire la felicità. Lo spregiudicato ha dei punti di vantaggio, fa carriera più facilmente, rastrella più soldi. Qui si fa il discorso della felicità. Il primo fattore della felicità è la pace interiore, un famiglia, con gli altri. I punti in apparenza negativi per la felicità sono i presupposti della pace. La rettitudine produce tranquillità, elimina la paura di essere sorpresi con le mani nel sacco o di essere raggirati o ricattati. Ma non è tutto. Il cristiano non va configurato come l'uomo d'ordine, che potrebbe essere anche un disordine costituito. La rettitudine non è perbenismo. La fede autentica genera coraggio, stimola la ricerca e il progresso, apre alla socialità, favorisce anche il buon umore, dilata gli interessi. Non si confonda mai la vita di fede con il quieto vivere. La vita dell'uomo è attraversata da sofferenze di ordine fisico o morale: malattie, incomprensioni, torti. Capita a chi ha fede e a chi non ne ha. La fede è una riserva di fortezza che non finisce mai, che si accresce con l'esercizio. A Cana Gesù cambia l'acqua in vino e sveglia la fede dei discepoli. Quello che è stato detto della persona vale per la famiglia. Famiglia impastata di fede: quale migliore ingrediente per la felicità? Certo, come non di solo pane vive l'uomo così non di sola fede vive la famiglia. Ma la fede è presupposto di prim'ordine per la felicità familiare. Il discorso vale anche per la società. Evangelizzazione e promozione umana: tra i due termini il matrimonio è perfetto: i risultati sono stati scadenti quando si è fatta un'evangelizzazione di tipo devozionistico o quando si è pensato solo a promuovere il progresso materiale. Essere uomini di fede per ripetere nelle nostre persone, nelle famiglie, nelle comunità, nella società intera il miracolo di mutare l'acqua in vino: "Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi" (Gv 14,12). |