Omelia (21-02-2007)
padre Gian Franco Scarpitta
In vista della carità....

Accompagnata dal vestire di sacco e dalla lacerazione delle vesti, la pratica del digiuno è ricorrente in tutta la Bibbia. Per citare qualche esempio, Daniele supplica il Signore "con digiuni, vesti di sacco e cenere" (Dan 9, 3) e prima di essere interessato dalla visione dell'uomo vestito di lino fa' penitenza per tre settimane, astenendosi dalla carne, dal vino e dai cibi prelibati (3, 10) e questi passi sono espressivi a legittimare le pratiche cattoliche di ascesi fisica; anche Mosè digiuna prima di un incontro con il Signore e nell'insieme dell'Antico Testamento digiunare, fare elemosine e pregare sono opere di penitenza atte a favorire il ritorno a Dio e la contrizione per i propri peccati. La prima Lettura di oggi, tratta dal libro di Giosia, addita al digiuno come iniziativa comunitaria atta a favorire che il popolo ottenga la riconciliazione con Dio, specialmente nell'ambito di quella situazione di estrema miseria e precarietà dovuta a una recente invasione di cavallette che ha devastato tutto il raccolto: pianti, digiuni e lamenti sono espedienti che aiutano ad esternare il dolore del male commesso dal popolo per cui è stata meritata quella condanna divina. La Chiesa trae però maggiore modello di digiuno e di astinenza dalla persona del Signore Gesù Cristo, che vive il digiuno in prima persona come espediente di lotta contro il male per salvaguardare la comunione con il Padre e la volontà di donarsi ai fratelli e spiega così il senso e il valore di determinate pratiche di rinuncia corporale che sarebbe pernicioso ed esiziale se fossero coltivate in se stesse.

Digiunare, rinunciare ai cibi e alle bevande, sottoporre il proprio corpo alle privazioni e alle asperità diventano infatti un danno per la persona quando siano eccessivamente praticate anche a scapito della propria salute e non hanno senso alcuno se messe in pratica per il puro piacere di ledere se stessi e il proprio corpo. Assurdo poi astenersi dall'acqua e dai cibi per intere giornate per ragioni di protesta politica e ancora più assurdo che siffatte scelte di "sciopero della fame e della sete" trovino il seguito di numerose persone che sostengono il leader...
Piuttosto, il digiuno va proporzionato alle proprie forze e non può essere non affinato alla preghiera e alle opere di carità: si tratta infatti di una pratica esteriore finalizzata all'incontro con Dio che per primo ci chiama alla comunione con sé mostrandoci la miseria che comporta il nostro peccato per cui prendiamo in considerazione di dover rinunciare ai piaceri e alle voluttà nonché alle banalità di questo mondo e perfino a noi stessi per ritornare a Dio attraverso un processo denominato "conversione", che impone il cambiamento radicale di tutti i nostri punti di vista e il passaggio dalla propria autoaffermazione al primato di Dio nella nostra vita. E' Dio che ci converte per primo, e noi corrispondiamo al suo progetto. Convertirsi vuol dire infatti convincersi dell'amore di Dio nei nostri confronti e della necessità di dover mutare il nostro vivere in vista di lui e l'ascesi fisica del digiuno e della rinuncia aiuta non poco in tale processo, innanzitutto facendoci riscoprire di essere davanti a Dio solamente polvere e cenere nonostante la nostra pretesa di superiorità e di onnipotenza: le ceneri che oggi ci verranno messe sul capo esprimeranno il nostro essere nulla davanti al Tutto e la necessità di dover abbracciare questo Tutto che ci viene incontro mediante l'invito: "Convertitevi e credete al vangelo" e nell'opera di conversione sempre digiuno e astinenza saranno coefficienti di successo e di elevazione spirituale.

Per questo motivo il digiuno va associato alla preghiera e alle opere di bene: nel primo caso ai fini di vivere l'intensità dei rapporti con il Signore verso cui ci incamminiamo nella dimensione del colloquio profondo che aiuta a rientrare in noi stessi e ad essere pronti per Lui; meglio ancora se la preghiera viene associata al silenzio come fuga dal multiloquio e condizione perché parli a noi lo Spirito Santo: il deserto e il raccoglimento non possono che favorire la familiarità con Dio e farci esperire la sua grandezza di amore che supera la nostra piccolezza di peccatori. Nel secondo caso, le opere di carità realizzate con sincera devozione verso il prossimo rendono effettiva l'attendibilità del digiuno e non si potrà mai dire di esserci convertiti veramente a Dio se avremo disatteso le necessità del fratello bisognoso: se si rinuncia a un cibo non lo si fa mai per risparmiare ma per aiutare il prossimo e sia chiaro a tutti che l'equivalente del pasto che oggi non avremo consumato a tavola dovrà essere destinato ad opere di beneficenza a favore di chi ha fame, altrimenti sarà stato inutile aver digiunato e aver seguito la funzione. Non va dimenticato infatti che la pienezza della legge è sempre la carità e che ogni espediente della vita spirituale verte a che questa si realizzi con puntualità e abnegazione. Sarebbe allora inconcepibile che conversione, penitenza e digiuno non si palesino attraverso opere di amore disinteressato ed effettivo specialmente verso i bisognosi; sarebbe più che giustificata in tal senso la denigrazione da parte di chi biasima le nostre pratiche cristiane e ancora più riprovevole che nel mondo ateo e non credente si esterni più esemplarità di amore al prossimo da parte di chi non digiuna. Non per niente Gesù ci invita ai frutti di amore che esprimono l'avvenuta penitenza. E nel determinare questo monito il Signore è molto categorico: la carità deve allontanare qualsiasi sentire di apparenza e di esibizionismo esteriore e pur di essere praticata nell'estrema sincerità ed essere trasparente nei risultati può (e deve) anche essere praticata nel nascondimento e senza il plauso e la vanagloria che ci provengono da altri: "Non sappia neppure la tua sinistra quello che fa la tua destra".

A tal proposito non va neppure dimenticato che oltre che al digiuno corporale vi sono tantissime altre forme di rinuncia che potrebbero essere seguite per tutti i quaranta giorni che ci accompagneranno verso la Pasqua come ad esempio quella che si stanno proponendo alcune ragazzine della mia chiesa: rinunciare alla pizza del Sabato sera per destinare i soldi ad un orfanotrofio. Oppure rinunciare alla voluttà di alcune sigarette al giorno (che in un mese raggiungono anche i due pacchetti!) per regalare un boccone a qualche bisognoso; e anche il digiuno dalle mormorazioni e dai pettegolezzi come pure la rinuncia alla tv, al cinema e al divertimento per coltivare maggiormente la famiglia e il nostro coniuge realizzano la triplice dimensione di fede, penitenza e carità.
Accettare che Dio ci converta e incamminarci verso di lui è possibile e i mezzi di grazia certo non ci mancano. Quaranta giorni di Quaresima non cono certamente il solo tempo propizio per rivedere la nostra vita ed instaurare i nuovi rapporti con Dio