Omelia (11-02-2007)
don Ricciotti Saurino
Cuore a cuore

Ci vuole davvero un grande coraggio a fare i complimenti e le felicitazioni a chi è povero, a chi ha fame, a chi piange...
Io non mi sognerei mai di congratularmi con tali persone, sapendo bene di non fare loro cosa gradita e di rischiare di scatenare una reazione che potrebbe avere brutte conseguenze.
Eppure il Vangelo non registra strane reazioni di ribellione e di rivolta nella moltitudine di gente che si stringe attorno a Gesù mentre dichiara beati i poveri... gli affamati... gli afflitti.
Non credo sia gente insensibile all'offesa, né che si tratti di un argomento estraneo alla loro condizione.
La povertà, come la fame ed il dolore, sono palpabili nell'ambiente attraversato dal Maestro ed è proprio a quell'ambiente che Egli rivolge gli impudenti rallegramenti senza provocare oltraggio.
Non lo fa per rabbonire illusoriamente i disagiati, né per frenare il loro desiderio di rivalsa, lo fa per comunicare una certezza abbondantemente sperimentata nella Sua vita e che l'accompagnerà fino alla sofferenza estrema... l'amore del Padre è proporzionato al bisogno della creatura.
La povertà Gli è stata compagna nella nascita, nella fuga in Egitto, nella polvere e tra i trucioli della bottega di Nazaret.
La fame Lo ha segnato all'inizio della Sua vita pubblica tanto da diventare seducente argomento di tentazione da parte del demonio.
Le lacrime solcheranno il Suo volto in alcuni momenti di sconcerto davanti alla realtà dolorosa dell'umanità, e laveranno il sangue grondante dalla Sua fronte coronata.
Ma non è la Sua sofferenza a giustificare la nostra, né il Suo dolore potrà essere motivo di felicitazione per tutti coloro che si trovano in un tormento. Anche se noi spesso diciamo erroneamente "ha sofferto Lui, perché non dovremmo farlo noi?"
La Sua proposta di beatitudine va oltre ogni 'compagnia' che affievolisca e attenui il nostro soffrire. Egli non vuole svilire il nostro dolore, né vuole che lo accettiamo con rassegnazione, tanto meno vuole che ce lo procuriamo come concorrenti ad una 'caccia al tesoro' solo per sentirci proclamati beati.
Non vuole neppure che il Suo insegnamento diventi un incoraggiamento moraleggiante per creare equilibri sociali, né che sia inteso come l'anticipo per il godimento futuro... anche se tutto questo... renderebbe più vivibile la nostra società.
E allora? Che senso ha esaltare i bisognosi?
Mosè aveva dato una regola comportamentale per l'uomo perché potesse vivere dignitosamente... Gesù dà, invece, la regola comportamentale di Dio, che dona il Suo amore non guardando il merito, ma il demerito, il bisogno, la povertà.
E' questo il motivo della beatitudine... la premura, l'accortezza e l'amore di Dio verso l'indigente.
Se gli uomini creano discriminazioni e umiliano i poveri, Dio, invece, è attento ad essi e li fa subito possessori del Regno Suo.
Se gli uomini riducono alla fame i fratelli, Dio prepara un banchetto per saziarli.
Se gli uomini fanno piangere i propri simili, Dio attende di far rifiorire il sorriso sulle loro labbra.
Ma, quando? Forse anche noi ci saremmo aspettati un immediato messianismo rivoluzionario, un veloce capovolgimento sociale, un rapido ribaltamento delle sorti...
Ma è Gesù stesso ad insegnarci che se questo non è il tempo degli improvvisi sovvertimenti non è neppure, tuttavia, il tempo dell'alienazione religiosa e del disimpegno sociale...
E', invece, l'oggi della solidarietà di chi si prende cura dei bisognosi, come ha fatto Lui.
E' l'oggi della misericordia, della vicinanza di Dio ai poveri attraverso altri poveri volontari.
Ora è il tempo nel quale su questa misera terra si getta il seme del Regno. Nel Regno, poi, la misericordia di Dio non avrà più le sembianze umane, ma sarà amore diretto, cuore a cuore.