Omelia (18-02-2007)
don Marco Pratesi
Giustizia di Dio, giustizia dell'uomo

Per capire il racconto proposto nella prima lettura, rammentiamo brevemente l'antefatto. Davide, introdotto alla corte di Saul, primo re d'Israele, ha avuto modo di farsi apprezzare per il suo valore, al punto da suscitare l'irritazione e la gelosia di Saul. Senza che Davide abbia congiurato o commesso alcunché, il re d'Israele ha deciso di eliminarlo, costringendo Davide a fuggire. Durante questa latitanza gli abitanti della zona in cui si trova Davide denunciano la sua presenza al re, che prontamente si muove per dare la caccia al rivale. Con questo siamo alla lettura odierna.
Davide, pur potendo, non vuole uccidere il suo nemico. La cosa era "legittima", sia perché egli era ingiustamente perseguitato, sia perché una circostanza del genere poteva essere facilmente interpretata come un segno di Dio, come infatti fa prontamente il suo compagno Abisai: "Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico".
Ma Davide rifiuta. La sua motivazione è a prima vista sorprendente: "Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?" Davide ha assoluto rispetto della scelta di Dio: non è Saul il prescelto da Dio per essere re in Israele?
Il secondo motivo del rifiuto di Davide è la sua piena fiducia nella giustizia di Dio: "Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e fedeltà". Egli pertanto non vuole farsi giustizia da solo, ma affida la sua causa alla giustizia di Dio. Notiamo che Davide non parla affatto di una retribuzione ultraterrena, assente dalla sua visuale: il bene e il male hanno i loro effetti già in questa vita.
È una grande lezione, che mette Davide sulla linea che condurrà a Gesù. Ma che significa per noi?
Primo: rispettare lo sguardo di Dio sull'altro. Quello che è importante, che non può mai essere saltato, è come Dio vede l'altro, anche il nemico. Sappiamo che egli è, comunque sia, amato da Dio. In un certo senso, tutti sono "consacrati del Signore", ogni uomo è preso in custodia dalla misericordia di Dio. Anche Caino reca impresso il sigillo di Dio, che vieta di ucciderlo (cf. Gen 4,15).
Secondo: affidare al Signore la propria causa, evitando di farsi giustizia da soli. Questo non significa tanto che io non debba desiderare che sia riconosciuto il mio diritto, e anche operare per questo. Il punto è piuttosto: con quale spirito?
Di fronte a tutto quanto sa di arrendevolezza, remissività, sopportazione, l'uomo moderno reagisce con diffidenza, se non col rifiuto aperto: è facilmente ritenuto asservimento e oppressione. Con uguale facilità, tuttavia, si arriva oggi ad atteggiamenti di insofferenza acuta e intransigenza.
Non possiamo consegnarci ciecamente alla nostra giustizia, perché questo ci porta speditamente all'intolleranza e alla rabbia. Un mondo consegnato alla giustizia umana diventa rapidamente un grande lager.
Occorre rimanere sempre nell'affidamento al Signore e alla sua giustizia.
E Davide diventerà re senza essersi macchiato del sangue di Saul.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.