Omelia (02-02-2003) |
Paolo Curtaz |
Un Parola autorevole che ci libera Oggi incontriamo Gesù nella sinagoga della città di Cafarnao, sul lago di Tiberiade: Marco annota lo stupore della folla che resta ammirata dall'insegnamento autorevole di Gesù. La folla era abituata alle dissertazioni teoriche dei dottori della legge e degli scribi, che predicavano la parola il piú delle volte per dimostrare la propria capacità dialettica e che regolarmente finiva col passare ad una spanna sopra la testa degli uditori (come ahimé succede ancora spesso nelle nostre chiese); la parola del falegname di Nazareth - invece - lascia interdetti: ti raggiunge nel cuore, ti spalanca nuovi significati, ti alleggerisce la vita. Gesù parla per esperienza: il suo fecondo rapporto con Dio gli permette di indicare una strada di autenticità che colpisce al cuore l'uditore. Siamo invitati anche noi, in nell'eccesso di comunicazione che contraddistingue il nostro tempo, a fare ordine nelle troppe voci che sentiamo. Tuttologi, corsivisti, opinionisti, fino giù al discorso da bar veniamo strattonati per la giacca da mille idee e finiamo, il più delle volte, a non averne alcuna o a sposare quella che ci suscita maggiori consensi. L'autorevolezza di Gesù non ha nulla a che vedere con l'autoritarismo di chi impone una sua idea senza motivarla, egli parla dal cuore, parla per amore, mette l'uditore al centro del suo discorso perché davvero gli sta a cuore la salvezza e la felicità di ognuno. Ma Gesù non condivide neppure quel triste atteggiamento - troppo diffuso oggi - di chi confonde l'assenza di idee con la tolleranza e l'apertura; da educatore verifico mille volte negli adolescenti e nei giovani un distruttivo senso di smarrimento di chi non trova in noi adulti nessuna certezza e che perciò fatica a farsene delle proprie. Abbiamo delle gravi responsabilità verso le nuove generazioni, siamo cioè chiamati a cercare le verità per poter proporre qualcosa che vada al di là del sorridente fallimento di una generazione - la nostra - che propone come modello un fragilissimo caos gaudente. Io credo, e lo credo con forza, che Gesù possa davvero dire una parola definitiva sull'uomo e su Dio e nel suo equilibrio, nel suo fascino, nella sua schietta e virile verità, nel suo amorevole desiderio di salvezza trovo un punto fermo da cui partire per la mia ricerca. Ma dobbiamo essere realisti: nel troppo rumore diventa difficile udire l'impercettibile discorso di Dio, un Dio che - almeno lui! - non urla per farsi sentire ma ci invita, piuttosto a rientrare in noi stessi. E in questo realismo dobbiamo riconoscere le forze negative, distruttive che ci abitano. L'indemoniato è simbolo di tutte le obiezioni che ci impediscono, finalmente, di diventare credenti. Abita nella sinagoga, partecipa alla preghiera: in monito a diffidare dall'esteriorità. La sua affermazione è terribile: "Che c'entri con noi, sei venuto per rovinarci!" E' demoniaca una fede che tiene il Signore lontano dalla quotidianità, che lo relega nel sacro, che sorride benevola alle pie esortazioni senza calarle nella dura quotidianità; è demoniaca una fede che vede in Dio un concorrente e che contrappone la piena riuscita della vita, con la fede: se Dio esiste io sono castrato, non posso realizzare i miei desideri; è infine demoniaca una fede che resta alle parole: il demone riconosce in Gesù il santo di Dio ma non aderisce la suo vangelo. Ecco tre rischi concreti e misurabili per la nostra fede: un Dio che non c'entra con la nostra vita, un Dio avversario, un Dio da riconoscere solo a voce. Più complesso, invece, il rischio raccontato dalla prima lettura, quando Dio zittisce i falsi profeti e garantisce la sua presenza in mezzo al popolo attraverso profeti che annuncino la sua Parola. Ma ci crediamo? Mi rendo sempre più conto che uno dei più grossi ostacoli alla fede verso Cristo, per molti, sia la pochissima fede nella Chiesa, in una visione spesse volte distorta della comunità dei credenti, in una pretesa di perfezione e di coerenza che, guarda caso, coinvolge sempre e solo gli altri. Quando parla un Profeta, siamo sempre pronti a inchiodarlo alla sua poca coerenza, al suo stile, alle sue posizioni, mai ci sogniamo di spalancare il nostro cuore a ciò che Dio mi vuole dire attraverso di lui. E' così difficile pensare che attraverso una predica, una confessione, un incontro, il Signore mi voglia parlare! Un ultimo ostacolo all'accoglienza della Parola è la preoccupazione, come ci ricorda san Paolo. "Preoccupare" in due sensi: "mettere al primo posto", mettere al primo posto la moglie, il lavoro, la carriera e non avere più tempo per Dio e, anche, il "mettere prima", cioè costruire un castello in aria di supposizioni, atteggiamenti che ci rodono il cuore pre-occupandoci invece di occuparci. Restiamo sereni, noi discepoli del Signore: egli ci libera da questa tentazione, strappa da noi la parte oscura e distruttiva che ci abita, scioglie il dubbio, ci spinge alla fiducia e all'abbandono. Colui che solo ha una parola definitiva sulla storia ci rende liberi da ogni laccio per poterlo riconoscere come Maestro e Signore. |