Omelia (18-02-2007)
don Bruno Maggioni
L’amore gratuito per il nemico

Matteo (5,44) e Luca (6,27-35) collocano l'imperativo del perdono ai nemici in un discorso in cui intendono sottolineare la differenza (la vera differenza) fra il cristiano e il mondo. Per Luca gli atteggiamenti positivi da assumere nei confronti del nemico sono addirittura quattro, due in più di Matteo: amare, far del bene, benedire, pregare. Amare (agapan in greco) significa, qui come altrove, l'amore pieno, attivo, solidale, preoccupato, che non attende di essere ricambiato per donarsi. Non si aspetta il ravvedimento del nemico per poi amarlo, ma lo si ama già prima. Se si desidera il suo ravvedimento – e per questo si prega – è perché già ci si sente responsabile nei suoi confronti. Così inteso, l'amore al nemico è la punta dell'amore del prossimo. L'amore al nemico, infatti, evidenzia – come non accade in nessuna altra forma di amore – le due note profonde di ogni autentico amore evangelico. Anzitutto la tensione all'universalità: nell'amore al nemico la figura del «vicino» si dilata sino a rinchiudere anche il «più lontano»: chi è più lontano del nostro nemico? E poi la nota della gratuità, che è l'anima di ogni vero amore.
La figura del nemico di cui Luca parla è, possiamo dire, quotidiana, normale: non si tratta del persecutore, ma più semplicemente di chi sparla di noi, ci odia e ci maltratta. Le esemplificazioni concrete sono numerose, e vanno al di là dello stretto ambito del nemico: si parla infatti non solo di chi odia, percuote, ruba, ma anche di chi chiede un prestito senza avere poi la possibilità di ridare. Luca è particolarmente interessato a sottolineare la gratuità dell'amore.
Le motivazioni che giustificano l'amore al nemico sono due: distinguersi dai peccatori ed essere figli dell'Altissimo. Si tratta di comportarsi come il proprio Dio, «benevolo verso gli ingrati e i cattivi». L'aggettivo «benevolo» in greco dice l'amore attento, accogliente, mite, che non fa pesare ciò che dona. E «ingrato» (sempre in greco) sottolinea una volta di più l'assenza di ogni pretesa di reciprocità. Non si ama il lontano perché si avvicini. Lo si ama perché si vuole prolungare sino a lui la benevolenza di Dio.
Sono convinto di dire cose sorprendentemente paradossali. Ma si tratta del Vangelo. E poi, se si guardano le cose più attentamente, si può anche intuire che il perdono è paradossale, ma anche necessario per la convivenza, a ogni livello: nelle relazioni familiari, nelle relazioni amicali, nella società. Addirittura nelle relazioni fra i popoli. Senza un minimo di riconciliazione il mondo non sta in piedi. Un vecchio rabbino soleva dire che quando Dio creò il mondo, non riusciva a farlo stare in piedi. Poi creò il perdono, e il mondo stette in piedi.