Omelia (02-02-2003) |
Paolo Curtaz |
In attesa della luce Quest'anno il calendario civile incrocia il calendario liturgico e pone di domenica una festa del Signore poco conosciuta: la Presentazione al Tempio; in questo giorno, nei tempi antichi, si benedicevano le candele per tutto l'anno, a significare quella luce delle nazioni che profetizza il vecchio Simeone: la presenza del Signore Gesù; un forte richiamo Pasquale, quello di oggi, a ricordarci della luce del Signore Risorto simboleggiata dal cero pasquale. Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù avviene la circoncisione: un gesto semplice e antico che indicava un'appartenenza a un popolo, ad una storia. Fa una certa impressione vedere questa coppia di Nazareth compiere questo gesto, questo Dio che non si sottrae al gesto dell'alleanza, che asseconda le tradizioni, che si riconosce nella scelta di compromettersi con l'esperienza del popolo di Israele. Famiglia povera - offrono due colombi, la tariffa prevista per le famiglie povere - Giuseppe e Maria, ancora tutti stupiti degli eventi accaduti durante la nascita di Gesú, restano di nuovo sconcertati dalla presenza del vecchio Simeone, un habitué del Tempio che riconosce in questo neonato la presenza stessa di Dio. Simeone è il simbolo della fedeltà del popolo di Israele che aspetta con fiducia la venuta del Messia; la costanza e la perseveranza di molte persone anziane che nella loro semplice fede ancora frequentano le nostre comunità investite dai radicali cambiamenti della nostra contemporaneità; ma - nello stesso tempo - Simeone è il simbolo dell'uomo che aspetta perché sì la vita è desiderio, la vita è cammino, la vita è attesa. Attesa di luce, di salvezza, di un qualche senso che sbrogli la matassa delle nostre inquietudini e dei nostri "perché". Quante volte incontro persone che si lamentano del fatto di non aver potuto tenere in mano il loro destino, di aver dovuto rincorrere una vita non scelta, di avere fatto dei progetti che gli si sono sbriciolati in mano. A loro, a me, Simeone insegna a perseverare, ad affidarsi, a capire che la vita vera è oltre, è altrove, è diversa dai risultati che riusciamo a conseguire, dai sogni che riusciamo a realizzare. Bellissima la preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l'atteso: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. La vita è così, amici, bastano tre minuti per dare senso e luce a tutta una vita di sofferenze, tre minuti per dare luce ad una vita di attesa. L'importante è avere un cuore spalancato, capace, non rinchiuso dal dolore e dalla sofferenza, non asfaltato, non superficiale... Incontrare il Signore o intuirne la presenza, avere insomma fede, credere e sperare significa proprio mettersi in ascolto e attendere, anche tutta la vita se necessario. Certo: duro è perseverare nell'attesa, eppure è una scommessa ardita che tutti siamo invitati a compiere perché la nostra intera vita diventi attesa di una risposta esaustiva e soddisfacente che - infine - colmi i cuori. Simeone ha visto la luce: la luce già c'era, già esisteva, già era manifesta, e lui la vede, lui se ne accorge. La fede è un evento di apertura, è un accorgersi perché - lo so è un paradosso, che ci posso fare? - davanti al sole possiamo ostinatamente tenere gli occhi chiusi e dire: il sole non esiste. Chiediamo al Signore di alleggerire il nostro cuore, di non permettere che la sofferenza o la superbia ci chiudano gli occhi al vero e al bene che risplende nelle pieghe del nostro martoriato e fragile tempo. A Maria Simeone profetizza sofferenza. Questa acerba adolescente che ha creduto nella follia di Dio si trova ora, per la prima volta, davanti alla misura della sua scelta: la misura dell'amore. Maria sa che accogliere Dio le costerà fatica, e tanta. Sa che ormai la sua vita è e resterà diversa. Eppure crede, vi aderisce, vi acconsente. Perché amare può voler dire, in certe occasioni, patire. Sia lei, oggi, a insegnarci a vivere l'amore fino alla fine, a imparare a donare tutto di noi, per tramutare il dono il concretezza, il sentimento il gesto, l'amore in dono. |