Omelia (11-03-2007)
Suor Giuseppina Pisano o.p.


"... lascialo ancora, quest'anno..."; sono le parole del vignaiolo, contenute nella parabola che conclude il brano del vangelo di questa domenica.

La parabola, che sembra aver per oggetto il fico sterile, è, invece, uno di quei racconti che rivelano l'amore misericordioso di Dio, il quale, nel Figlio Gesù, il "vignaiolo", si schiera dalla parte dell'uomo, e ottiene, ancora, del tempo, perché, alle troppe inutili foglie, si sostituiscano i frutti, delle opere che durano per la vita eterna.

"... lascialo ancora, quest'anno..."; la frase ci induce a considerare, con molta attenzione, l'uso del tempo, che, troppo spesso diamo per scontato, quando, scontato non è.
Il tempo è dono della misericordia di Dio, un tempo, da percorrere nel desiderio di Lui, che ci attende, per vivere, con noi, la piena comunione, come da figli a Padre.

L'uso del tempo nel lungo cammino della vita, ci deve interpellare, e, in modo particolare, in questo tempo di Quaresima, che ancora una volta ci è offerto, come itinerario di fede più luminosa e intensa, di speranza più chiara, e come impegno di conversione, che volge tutto il nostro essere verso Dio, per una più profonda conoscenza di Lui, per un ascolto più attento della sua Parola, per una scelta, forte e chiara, di tutto ciò che a Lui conduce, lasciando da parte, invece, quanto da Lui conduce lontano.

Il giusto uso del tempo, esige che di esso, si avverta il senso della sacralità.
La Quaresima che, puntualmente, ritorna, è l'invito ad una più appassionata ricerca del Volto di Dio, ed è un tempo privilegiato, per render più feconda l'appartenenza a Cristo con i frutti delle opere d' amore, e con la testimonianza chiara e forte di Lui.

C' è tutto un lavoro da fare, che richiama quello simboleggiato nel progetto del vignaiolo: "lascialo ancora quest'anno, finché io lo zappi attorno e vi metta concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire..."; fuor di metafora, si tratta del cammino di conversione, quella urgenza sulla quale, oggi, Gesù ammonisce: "se non vi convertite, perirete tutti, allo stesso modo...".

La Quaresima è, dunque, il tempo, durante il quale si riprende, con maggior slancio e maggior cura, il nostro esodo, il personale, concreto allontanarci dal multiforme, insidioso mondo del male, per scegliere, sempre più decisamente e appassionatamente, Cristo Figlio di Dio, Redentore e Maestro di autentica umanità.

La Quaresima, si offre, perciò, anche come tempo prezioso, per liberare e maturare le risorse più belle della nostra umanità e conformarci più perfettamente a Cristo.

Come l'antico Esodo, il nostro esodo, va verso la liberazione più vera e profonda, quella libertà, che ci viene dall' essere salvati e resi figli di Dio. Si tratta di un percorso lungo e faticoso, talvolta drammatico, come quello del popolo che camminò, a lungo, nel deserto; tuttavia, parlare di esodo non significa parlare di un mito, ma di un impegno concreto, a crescere a misura di Cristo, oggi, nel contesto reale del nostro vissuto, con le inquietudini e i problemi di questo tempo; perciò, compiere una parte del nostro esodo, significa impegnarci interiormente, per rendere, poi, credibile e vera la nostra testimonianza a Cristo, in una società, e in un momento in cui, troppi, sembrano volerlo emarginare.

Sappiamo, però, che, a monte di questo impegno personale, interiore, di fede, di ascolto, di preghiera, sta l'azione di Dio, che sempre, "scende", nelle nostre concrete situazioni, per condurci oltre, rivelandoci la sua Presenza, che illumina e conforta: "Sono sceso, recita il passo dell' Esodo- per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese, verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele..."

Il deserto che percorriamo, non è un vagare senza meta, e, nel cammino, non siamo soli; sappiamo, come anche Mosè lo seppe, che una Presenza forte ci conduce e, sempre ripete quelle parole, la cui eco non si spegnerà: «Io sono tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, di Giacobbe.. Ho osservato la miseria del mio popolo...conosco, infatti le sue sofferenze.... Sono sceso per liberarlo...».

Il dialogo con Dio, è quello che veramente illumina e dà forza nel cammino di conversione, esso è un parlare ed ascoltare, che non deve essere, mai, interrotto, né dalla fatica, né dal momentaneo insuccesso o da qualsiasi forma di sconforto; anzi, proprio in questi frangenti, l'uomo deve vivere la sua resa fiduciale a Dio, l'affidamento a Lui, nella certezza che, Lui solo salva.
È quanto il salmo responsoriale esorta a fare:

"Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia.
....................
Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia
su quanti lo temono "
( sl.102 )

Il cammino della vita, lo sappiamo bene, non è scorrevole come un'autostrada, è piuttosto un avanzare, come in terra arida, tra imprevisti, incertezze, e drammi che, ieri, come oggi, non hanno perso nulla della loro dolorosa intensità; tuttavia, ciò non deve indurci alla diffidenza nei confronti del Padre:" Fratelli- ammonisce Paolo- non mormorate, come mormorarono alcuni di essi..".

"Mormorare" contro Dio, è come allontanarsi da Lui, per ripiegare su se stessi; e, non è questa, la via della salvezza, essa è, soltanto, una pericolosa china, verso la disperazione.
L'uomo fedele sa che, nonostante i momenti oscuri, Dio è presente nella sua esistenza, Egli è fedele e solidale, con tutto il dolore dell'uomo, perché lo ha assunto su di sé, per trasformarlo in gioia.

Ho davanti agli occhi l'esempio di mio padre; era un giovane militare, quando, nel 1939 si sposò, mentre già si annunciava il conflitto mondiale; furono sufficienti quattro anni, perché vedesse crollare quasi tutto di quel che aveva realizzato: la giovane moglie morta, assieme ad una bambina, la casa distrutta dalle bombe, e tanta povertà attorno.

Mio padre non disperò, ma ebbe la tenacia e, soprattutto, la fede per riprendere in mano la sua vita, con quel poco che gli restava: due bambine piccole e il suo lavoro. Nel corso della sua lunga vita ripeteva spesso: "Ho due mani, con una ho tenuto, stretta, la mano di Dio, che mi ha guidato, con l'altra ho ricostruito la casa e la famiglia..."

Ecco: tener stretta la mano di Dio, tenersi vicini a Cristo Redentore, sempre e comunque, è quel che il Vangelo oggi dice, con l'esortazione a convertirci.


Sr M.Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it