Omelia (11-03-2007)
padre Paul Devreux


Gesù ci fa notare che cercare un colpevole quando c'è una disgrazia non dà pace. C'invita a convertirci, perché Lui è in grado di dare una speranza lì dove noi vediamo solo tenebre.

Con la parabola del fico fa un accenno alla pazienza di Dio.

Ma il testo più importante che abbiamo oggi è la prima lettura, in cui Dio ci rivela il suo nome, che corrisponde alla sua identità.

Ricordiamo che Mosè è quell'ebreo cresciuto alla corte del faraone e che sognava di essere il liberatore del suo popolo, ma al suo primo tentativo di farlo si ritrova costretto a scappare dall'Egitto e a vivere da nomade nel deserto.

Dio lì si manifesta nel roveto ardente: Gli rivela il suo nome, cosa che si fa solo con gli intimi, perché il nome è ciò che mi consente di chiamare la persona, e in questo caso Dio stesso. Inoltre gli fa notare che la terra dove cammina è un luogo sacro, perché vi è presente. Infine parla della sua preoccupazione per il popolo di Israele. Manifesta interesse per le sue sofferenze e per il suo grido. Sembrava un Dio lontano e indifferente, quasi inesistente e Mosè scopre un tutt'altro Dio.

Ma la cosa più incredibile che scopre Mosè è che questo Dio vuole servirsi di lui per realizzare il suo vecchio sogno: liberare il suo popolo. Mosè si sentiva ormai povero, fallito e disilluso. Scopre che deve ancora cominciare a vivere. Fa fatica a crederci tanto che vorrebbe rinunciarci subito; ma il Signore insiste e così comincia quella grande avventura che sarà l'esodo, esperienza fondamentale della storia di Israele, che gli ha fatto scoprire cammin facendo, che questo Dio non solo c'è, ma che è un Dio che salva.