Omelia (18-03-2007) |
don Ricciotti Saurino |
Putativo Con nove mesi di anticipo la madre si conquista un ruolo che nessuna competizione più le toglierà. Nove mesi di abbracci, di coccole, di dialoghi silenziosi, di protezione, di difesa della propria creatura nel suo grembo le aggiudicheranno il primato dell'accoglienza alla vita. E per un padre quei nove mesi segneranno, invece, un ritardo che faticosamente recupererà nell'arco della sua storia... Sembra che il suo sia un eterno ruolo di padre putativo, defraudato per sempre nella sua sensibilità. Eppure, lui se ne sta lì buono buono, silenzioso come un ospite, mentre si porta dentro il dolore dell'immeritato secondo posto, che vive con discrezione, come un amore rubato, spesso non riconosciuto, ma ugualmente determinante. Esprime il suo affetto con l'essere sempre in servizio... dal fare il tassista di famiglia all'improvvisarsi idraulico, dal portare su l'acqua minerale al cimentarsi con l'elettricità, dall'essere consultato come vocabolario ambulante al manovrare l'impianto come tecnico del riscaldamento... Il suo silenzio è pieno di affetto, il suo distacco è gonfio di nostalgie, la sua mente anticipa le richieste dei suoi cari, il suo lavoro ha un unico scopo... i figli. A lui tocca, però, il ruolo delle grandi decisioni... Spesso deve intervenire nelle insoddisfazioni, che crescono man mano col crescere della statura dei suoi figli, con scelte che la madre rimanda, convenientemente, all'autorità 'paterna'. Sul suo volto si schiantano tutte le accuse di ingiustizia familiare, a cominciare dal figlio ribelle e insofferente del sistema di vita, che reclama insaziabili pretese e lamenta ignorate esigenze dei tempi, per finire a quel figlio scontento che gli rimprovera comportamenti di predilezione... Quante volte vorrebbe abbandonare il campo come un arbitro fischiato dall'una e dall'altra parte... e se non lo fa è solo per amore... Amore velato, ma amore vero. Vaga di notte alla ricerca disperata del ragazzo che, dopo un ennesimo colpo di testa, ancora non rientra... e quando, felice, lo riporta a casa, trova la moglie che tra le lacrime è sollecita ad apparecchiare la cena all'esule, mentre il resto della famiglia si rinchiude nelle proprie camere sbattendo la porta. Avverte che il suo amore non è capito perché è senza lacrime, e soprattutto sente di aver provocato involontariamente altro dispiacere. La sua incapacità a commuoversi e a tenere abbracciati tutti i figli in un'unica stretta, come vede fare spesso dalla moglie, gli pesa addosso come se, anche in quella circostanza, non avesse fatto niente, come se non avesse cercato nella notte, come se non fosse stato in apprensione, anzi come se avesse fatto una preferenza... Non riesce ad afferrare come mai la sua gioia non sia familiarmente condivisa... Gli sembra quasi che la sua felicità provenga proprio dalla sofferenza dei suoi cari e che la sua dedizione non sia in grado di soddisfare tutti contemporaneamente. Sarebbe pronto a chiedere perdono... se riuscisse a conoscere l'errore... Entra furtivo nelle altre stanze e immagina di sentire il rimprovero "per me non hai perso il tuo sonno... per me non hai preso freddo... non hai consumato benzina... non ti sei stancato..." Vorrebbe gridare "mettetemi alla prova!"... ma sceglie il silenzio... espressione del suo sofferto amore. Rimane lì, muto davanti ai figli che, tra il caldo delle coperte, guardano, indifferenti, il soffitto e, passando una mano tra i loro capelli, dice: "Non giudicatemi e non condannatemi adesso... ne riparliamo quando sarete padri!" Chissà... forse per capire, Signore, la tua silenziosa e tenace tenerezza... dovremmo tutti vestire i panni di un padre incompreso! Riusciremmo a sentire anche il calore delle Tue carezze e delle Tue pazienti attese... |