Omelia (15-04-2007) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Anche oggi, la Chiesa, celebra una "Domenica di Pasqua"; per altre cinque domeniche, la liturgia usa questa denominazione, dalla quale si comprende, quanto grande sia la ricchezza del Mistero di Cristo, e della sua Resurrezione, la cui contemplazione e conoscenza, non può esaurirsi nella celebrazione di un sol giorno; ma è necessario un intero arco di tempo, per cogliere qualcosa, ed ecco così il "Tempo": quello di Pasqua. In questa seconda domenica, la liturgia eucaristica è ricchissima, per la scelta dei testi, e per i diversi temi, che tocca, infatti, oltre al racconto delle due apparizioni del Risorto ai discepoli, il Vangelo di Giovanni, parla dell'effusione dello Spirito, del dono della pace, del conferimento della missione agli Undici, e del potere, loro affidato, di rimettere i peccati, segno della carità più alta. Il perdono dei peccati, ragione per la quale il Figlio di Dio si è incarnato, è morto ed è risorto, è, assieme alla pace, il dono della Pasqua. Nella Resurrezione di Cristo, che vincendo la morte, ha vinto anche il peccato, c'è, dunque, il riscatto di tutto l'uomo, che da quel momento, può vivere la comunione con Dio nella nuova relazione di figlio, cosa, questa, che è fonte di gioia, di pace e di speranza indistruttibile. Il Risorto: di lui, Giovanni, nella prima pagina dell'Apocalisse, che oggi la liturgia ripropone, tratteggia un'immagine grandiosa: "Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù.... rapito in estasi, nel giorno del Signore... vidi sette candelabri e, in mezzo ai candelabri, c'era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi, come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: «Non temere! lo sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. lo ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi...» (Ap.1, 9 10. 12 13. 17. 19) È questo il Figlio di Dio, il Verbo, che era in principio, e che si è incarnato in Gesù di Nazareth, il Cristo, morto e risorto; Egli è il principio e il fine della Storia e, soltanto in Lui, ci è dato, di scorgere, quella che sarà la nostra condizione finale e definitiva, quando, anche il nostro mistero di creature, fatte ad immagine di Dio, sarà giunto a completezza, e noi risorgeremo, con Lui, nella gloria. Scrive ancora Giovanni: "Vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua...Colui che siede sul trono, distenderà la sua tenda sopra di loro, ed essi non avranno più fame, né sete, non li colpirà più il sole, né calore alcuno, perché l'Agnello, che sta in mezzo al trono, li condurrà alle sorgenti di acqua viva; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi" (Ap.7, 9; 15-17.); e l'Apostolo parla del numero di coloro, che hanno creduto in Cristo, ed hanno vissuto per Lui, e questo numero è incalcolabile. Vivere per Cristo significa vivere nella fede e nell'amore; sono queste le due virtù che animano la vita dei credenti, fin dai primissimi tempi della Chiesa, come testimonia, il passo degli Atti degli Apostoli, che oggi la liturgia eucaristica proclama:"... andava aumentando, recita il testo, il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore, fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra, coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati, e persone tormentate da spiriti immondi, e tutti venivano guariti." (Atti 5, 12 16) Fede e carità, sono, dunque, la risposta dell'uomo al dono di Dio, in Cristo risorto. Tuttavia, il percorso della fede, non per tutti è semplice; talvolta, esso diventa drammatico, quando credere è una lunga, faticosa, ricerca e, il desiderio bruciante di Dio, sembra non avere un riscontro di luce. Anche tra gli Undici, uno stentava a credere: Tommaso, soprannominato "Didimo", il quale, in quel primo giorno dopo il sabato, non era con gli altri, quando il Signore risorto entrò nel cenacolo, a porte chiuse. Al racconto dell'apparizione del Maestro, egli, molto perplesso, rispose: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Tommaso, come tanti, dopo di lui nel corso dei secoli, ha bisogno di verifiche, egli non è ancora capace di aprirsi all'invisibile, e a ciò che è oltre il dato esperienziale, o supera i percorsi della ragione, egli, non è ancora, pronto al rischio della fede. È per questo discepolo, così particolare, che, come recita il passo del Vangelo di oggi:" 0tto giorni dopo, mentre i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, e si fermò in mezzo a loro...". Il Maestro non si stupisce della difficoltà di Tommaso a credere, né lo rimprovera; Cristo sa quali sono i limiti della mente e del cuore umano, e si fa incontro, a chi è scettico o perplesso, e lo accoglie, lo aiuta, con infinita tenerezza. «Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!»; con queste parole, il Maestro guida Tommaso alla chiarezza della fede, e il discepolo, dopo aver toccato con le sue mani i segni della passione e morte del Cristo, esclama: «Mio Signore, e mio Dio!». È notevole la professione di fede di questo discepolo, che ci appare, dal racconto evangelico, così restio a credere; ora, illuminato dalla fede, egli, non solo riconosce che Gesù è veramente risorto, ma lo proclama suo Dio. Si, Gesù Cristo è il nostro Dio e questa fede è dono della Pasqua, che è vita, che è luce, che è speranza. Dall' esperienza interiore di questo Mistero, fondamento sul quale poggia la nostra fede, nessuno è escluso; Cristo attende ogni uomo, in un tempo, o in una particolare situazione, che Lui solo conosce, per rivelarsi alla coscienza di ognuno, anche del più lontano, del più restio ad arrendersi al dono di grazia che è la fede nel Figlio di Dio, il Redentore, che, nel cammino della vita, si fa compagno, amico e fratello, per condurci fino allo splendore della visione, che non avrà più ombre e non avrà mai fine. Sr Maria Rita Pisano o.p. mrita.pisano@virgilio.it |