Omelia (02-11-2000)
Totustuus
Omelia per il 2 novembre 2000 - Commemoraz. Fedeli Defunti

NESSO TRA LE LETTURE

La liturgia nella commemorazione dei fedeli defunti canta la vittoria di Cristo e del cristiano sulla morte. In effetti, nella seconda lettura, san Paolo dice ai romani che Cristo morì per noi, e in tal modo, giustificati adesso per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui, cioè vinceremo con Cristo il peccato e la morte. A questa vittoria allude Isaia (prima lettura), quando insegna che lo stesso Dio: "Vincerà la morte definitivamente, e asciugherà le lacrime e il pianto". Il cristiano riceve dal suo Signore e Maestro l'alimento che già in questa terra è alimento di vita eterna: l'eucarestia pane di vita, anticipazione della vita con Dio dopo la morte (vangelo).

MESSAGGIO DOTTRINALE

La morte è stata vinta. La realtà più drammatica dell'esistenza umana è dover morire, avendo nell'anima sete di immortalità. Questa morte non è soltanto drammatica, è anche in non poche occasioni assurda, quando viene falciata una vita giovane e promettente, quando a pagare il salario alla morte è una vita innocente, quando la morte giunge inaspettata, quando tronca un futuro magnifico, quando crea un acuto problema nella famiglia, quando... La drammaticità e l'assurdità aumentano quando si manca di fede o quest'ultima è smorta, quasi completamente spenta. In questo caso, tutto crolla, perché si vive come chi non ha speranza. In tal caso, la morte porta nella sua mano la palma della vittoria, e la vita termina sotto la lastra di pietra di un sepolcro, lasciando i vivi nella disperazione e nell'angoscia senza senso. La fede cristiana, invece, ci dice che la morte è un tunnel nero che termina in un nuovo mondo di luce e di vita risplendenti. Ci dice che la morte è certamente una perdita, da parte di chi se ne va (perde la sua relazione col mondo) e da parte di chi rimane (perde un essere amato), ma una perdita che Dio è capace di trasformare, in un modo a noi sconosciuto, in guadagno, perché la morte dell'uomo, come nel caso della crisalide, sbocca nella vita. In Cristo risorto, vincitore della morte, tutti abbiamo già cominciato, in una certa maniera, a vincere la morte mediante la partecipazione alla sua resurrezione.

Eucarestia e vita. Il cristiano, come qualsiasi altro essere umano, sente giorno per giorno il passaggio dal tempo sul suo corpo, l'avvicinarsi dell'incontro definitivo con la realtà della morte, la chiamata costante della terra. Il cristiano non è esente da tutto ciò che questo significa esistenzialmente per ogni uomo, nella sua unità psicosomatica. Mentre si va avvicinando al tramonto della vita, il cristiano esperimenta, tuttavia, a un livello profondo, la chiamata della vita divina, la voce del Padre che gli dice: Vieni! Questa esperienza si fa', senza dubbio, nella preghiera personale in cui ciascuno parla da cuore a cuore con il Padre che chiama, con il Figlio che salva, con lo Spirito che vivifica. Questa esperienza si approfondisce nella ricezione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nell'Eucarestia. Perché il cristiano, quando mangia del pane e beve dal calice, riceve Cristo vivo, nella sua umanità e nella sua divinità, pegno ed anticipazione della gloria del cielo. E perché, ogni volta che si celebra l'Eucarestia, si realizza l'opera della nostra redenzione e "dividiamo uno stesso pane che è rimedio di immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere con Gesù Cristo per sempre" (S. Ignazio di Antiochia, Ep. 20, 2), come ci ricorda il Catechismo (CCC 1405). L'ansia di immortalità e di vita eterna, che si annida in ognuno degli uomini e delle donne del pianeta, viene soddisfatta, lentamente ma in modo continuo ed efficace, dalla straordinaria esperienza di vita nuova che va impossessandosi dell'uomo al contatto frequente con l'Eucarestia. Con l'Eucarestia ben ricevuta va crescendo nell'uomo la vita, la vita nuova di Cristo risorto e glorioso nel cielo.

SUGGERIMENTI PASTORALI

La virtù della speranza. Sperare è desiderare quello che ancora non si possiede. E sta chiedendo di darsi con tutta l'anima ad ottenerlo il più presto possibile. Esiste la speranza umana con un orizzonte puramente temporale. Lo studente spera di ottenere buoni voti agli esami; il giovane spera si sposarsi e di formare una bella famiglia; il malato spera di ristabilirsi presto, mentre chi è sano spera di non ammalarsi, il marinaio spera di giungere a casa ed abbracciare la sua sposa e i suoi figli; il missionario spera di poter costruire una chiesa per i suoi fedeli che ne sono sprovvisti; il sacerdote spera che si riempia la sua parrocchia in tutte le messe domenicali, eccetera. Queste speranze umane, buone e perfettamente legittime, Dio le completa in noi cristiani, concedendoci la virtù teologale della speranza. Questa speranza cristiana ha la sua meta principale e definitiva nel cielo, dove tutti speriamo di arrivare con l'aiuto di Dio, al termine della nostra vita terrena. Ma la speranza cristiana ha anche le sue mete parziali, più piccole, e che sono ordinate all'ultima meta. Per esempio, la speranza del bambino di fare la prima comunione e quella della giovane novizia di fare la professione religiosa; lo sforzo e la speranza di un parroco perché i suoi parrocchiani vadano a messa la domenica, o la speranza di una catechista che i suoi alunni assimilino bene la fede e la vita cristiana, ecc. Abbiamo per certo che la speranza, quando è autentica, quando Dio ce la infonde, non inganna mai né delude chi in essa ripone la propria fiducia.

La morte non è il peggio. Chi non ha fede può facilmente pensare che la morte sia il peggiore dei mali, perché con essa si torna al nulla, al mondo del non essere. Il buon cristiano guarda alla morte con altri occhi, perché la morte non è l'annichilamento dell'essere, ma la porta per un nuovo modo di essere e di vivere per sempre. I cimiteri cristiani non sono soltanto luoghi del ricordo, sono soprattutto luoghi di speranza, luoghi dai quali sale verso Dio l'anelito di eternità degli uomini. Per questo, la morte non è il peggiore dei mali, né tanto meno il male assoluto. Il maggiore dei mali dell'uomo è il peccato, è il mal uso della libertà, è la volontà di rifiutare Dio adesso, nel tempo, e poi, per sempre nell'aldilà. I martiri sono quegli uomini che con la loro vita e la loro morte ci stanno dicendo che vale la pena di morire per non peccare, per non offendere Dio e la nostra vocazione cristiana. Per questo, i martiri debbono avere un luogo maggiore nell'educazione cristiana dei bambini e dei giovani. Essi, con la loro morte per la fede, ci stanno gridando che la morte non è il peggio, e che non ha l'ultima parola. Cristo, il Vivente, ci aspetta con le braccia aperte dell'altra parte della frontiera.