Omelia (01-04-2007)
don Maurizio Prandi
La croce: splendore del perdono del Padre

Brevissimamente riassumo il percorso fatto insieme in queste domeniche e che riguarda le sorgenti, le fonti dell'intimità.
L'intimità nasce dall'attraversare ed abitare il deserto, dal salire sul monte, dall'ascolto del quotidiano, dalla misericordia e dal perdono ed infine, grazie alla liturgia della parola di domenica scorsa, abbiamo intuito che l'intimità nasce dallo sguardo. Quest'oggi, in ascolto del vangelo di Luca che ci racconta la passione di Gesù, viviamo insieme a Lui alcuni momenti di grande intimità: la cena con i discepoli, la preghiera nell'orto degli ulivi, il Golgota. C'è un minimo comun denominatore in questi momenti: la tentazione. Torna il legame fortissimo che c'è tra intimità e tentazione che sottolineavo nella prima settimana. Ripeto allora che è l'intimità, la vicinanza, la relazione con il Padre che il Diavolo vuole lacerare.

E' nel momento della maggiore intimità (questo è il significato che avevano il pranzo e la cena nel mondo ebraico), che prepotentemente torna il tentatore. Nella prima domenica di Quaresima, alla fine del racconto della tentazioni di Gesù nel deserto, abbiamo ascoltato: ed eccoci al tempo fissato, l'ora della passione, in cui Gesù è nuovamente tentato dal demonio ed è sottoposto ad una prova terribile: restare fedele al Padre, anche al prezzo della croce, o percorrere le vie suggerite dal demonio, che portano come promessa sazietà, potere, ricchezza, successo? La passione secondo Luca è davvero l'ora della grande tentazione: di Gesù come dei discepoli...dunque è anche la grande tentazione della chiesa. (E. Bianchi). Quanti drammi al cuore della Eucaristia celebrata da Gesù: il tradimento di Giuda, il tradimento di Pietro, la discussione che nasce tra i discepoli su chi tra di loro è il più grande... proprio durante la cena pasquale, quando Gesù anticipa con le sue parole e con i gesti sul pane e sul vino quello che gli sarebbe accaduto, proprio quando svela che la sua vita è offerta fino all'effusione del sangue per i discepoli, questi mostrano di entrare in tentazione ed anche di cedere alla tentazione, mostrano di essere sedotti dal denaro e dal potere, mostrano di essere sopraffatti dalla paura. Innanzitutto uno di loro tradisce l'alleanza della comunità, la nuova alleanza sancita dal sangue di Gesù consegnandolo ai nemici (ricordiamo la prima tentazione di Gesù nel deserto, che verteva proprio sul mangiare.. durante la cena pasquale Gesù svela che il senso di comunione del mangiare insieme è stravolto da un discepolo con il tradimento); Pietro, la "roccia", proclama a Gesù una fedeltà che smentirà per tre volte (anche qui un parallelo, con la terza tentazione di Gesù nel deserto, durante la quale gli veniva suggerito di gettarsi dal pinnacolo del tempio per farsi venire a salvare dagli angeli: l'orgoglio religioso, il piegare Dio a sé stessi... qui Pietro presume di sé e della sua fede: orgogliosamente si dichiara pronto ad andare con Gesù fino alla morte); mentre Gesù serve a tavola, mentre Gesù spezza il pane, i suoi litigano per sapere "chi tra di loro poteva essere considerato il più grande". Nell'ora della prova i discepoli soccombono, mentre Gesù si mostra fedele a Dio e ai suoi discepoli. Ciò che impedisce l'intimità allora è la ricerca del potere, la ricerca dei primi posti... la seconda tentazione nel deserto riguardava proprio il potere e ora sono i discepoli che, al cuore dell'ultima cena, litigano tra loro per una questione di potere... anche negli altri evangelisti questo appare chiaramente. In Marco sono Giacomo e Giovanni a chiedere i primi due posti e gli altri discepoli si arrabbiano perché anche a loro, tutto sommato, il potere non fa poi così tanto ribrezzo... Per contro, ciò che favorisce l'intimità è il servizio: il più grande, tra voi – dice Gesù - diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve... È un comando costitutivo: la chiesa non è un luogo di accaparramento del potere. Qui c'è la logica dell'abbattimento di ogni potere. Il Signore Gesù si dona ad una comunità che lo tradisce, non capisce, fugge e rinnega. Questo è il servizio nella tradizione cristiana e questo rovescia un po' la mentalità dei discepoli che invece tendono a dire: ci vuole il potere. Siamo di fronte ad una gravissima incomprensione da parte loro. Tutto questo appare evidente dal testo della seconda lettura tratta dalla lettera di Paolo apostolo ai Filippesi: Ha assunto la condizione di servo... tenendo presente quanto detto allora mi rifaccio alla grande icona della lavanda dei piedi, che la sera del Giovedì Santo la chiesa ci chiederà di ascoltare e meditare. Un gesto scandaloso quello di Gesù, ma che ci dice il perché del servizio: chiamati a servire i fratelli e le sorelle perché per Gesù il Regno di Dio è l'uomo. Servire allora vuol dire anche avere passione per l'uomo; nessuno come Gesù ha avuto passione per l'uomo, nessuno come Gesù ha posto tanto in alto l'uomo. Secondo M. Zundel, il mistico svizzero che tanto affascinava papa Paolo VI°, con il gesto della lavanda dei piedi Gesù ha introdotto una nuova scala di valori: Gesù ci dà una lezione di grandezza perché la grandezza ha cambiato aspetto... essa non consiste nel dominare, ma nel servire. Troppo spesso, scrive Zundel, si è presentato Dio come un faraone, rivestito di broccati e di pietre preziose: tutto ciò crolla con la lavanda dei piedi. La vera grandezza è la generosità, è il donarsi... il più grande è il più generoso. Alla scala dei valori, normalmente basata sul dominio, Gesù sostituisce quella della generosità perché in questo consiste la grandezza dell'uomo: nella capacità di donarsi. Dio in Gesù donando la sua vita dona tutto quello che ha... per questo è il più grande, perché non è il sommo padrone che possiede tutto ma è il più grande povero, colui che non possiede nulla perché ha donato tutto. Dio è Dio proprio perché non ha nulla e noi non dobbiamo sentirci sminuiti nel credere in un Dio così, non dobbiamo sentirci offesi se in noi abita una presenza interiore estremamente povera. Possiamo gioire insieme perché in noi abita un Dio inginocchiato, un Dio che si propone non si impone, un Dio che serve.
Da Gesù impariamo che la sola vera grandezza è quella di servire, la sola vera grandezza è quella di donarsi, la sola vera grandezza è quella di inginocchiarsi davanti all'uomo, perché è nel sacramento del fratello che riconosciamo il Regno di Dio che ci viene incontro.

Veniamo ora al secondo momento di intimità cui prima accennavo: la preghiera di Gesù nell'orto degli ulivi. La preghiera per non entrare in tentazione, la preghiera per accogliere il disegno di Dio e la sua volontà. La preghiera per sentirsi uomo fino in fondo... sento anche questo come un momento, da parte di Gesù, di condivisone con l'umanità. La preghiera per dire al Padre quello che spesso noi invece vorremmo cancellare perché troppo doloroso, pesante, difficile da portare e da assumere: le nostre paure, le nostre angosce, i nostri drammi, i nostri fallimenti, le nostre divisioni, i nostri abbandoni, le nostre ferite. Gesù riconosce tutto questo come presente nella sua vita e lo consegna al Padre. Nel racconto di Luca la debolezza dell'uomo Gesù si fa trasparente... lo dimostra la frase: nel momento dell'agonia più fortemente pregava... quel "fortemente", in greco dice l'insistenza di chi è in difficoltà ed ha bisogno di aiuto. Gesù si aggrappa all'aiuto del Padre il quale manda un angelo ad infondergli coraggio. Come ogni uomo, anche l'uomo Gesù non trova in se stesso la forza di superare la prova, ma l'implora dal Padre. Così l'uomo sperimenta al tempo stesso la debolezza e la forza, la fatica e la consolazione di Dio. Nella preghiera inoltre, Gesù accoglie l'arresto senza difendersi, senza opporre violenza a violenza, senza mutare stile e comportamento che restano segnati dalla mitezza e dall'amore... il testo della prima lettura su questo ci aiuta a fare chiarezza: la sottomissione alla violenza dei suoi avversari fa emergere la determinazione e la risolutezza del Servo e della scelta di fare della sua vita una vita non-violenta. Ecco un'altra fonte dell'intimità: la non-violenza, il consegnarsi... nel momento in cui i discepoli dormono e poi lo abbandonano, al cuore della sua passione, Gesù nega la logica della forza, la logica della violenza e della difesa e fa suo il mistero del servo sofferente di Isaia 50: Non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro, ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non mi sono sottratto... e di Isaia 53: maltrattato si è lasciato umiliare... era come agnello condotto al macello...
Gesù, dicendo ai suoi discepoli quando gli presentano due spade e ai discepoli che vogliono difenderlo, rifiuta decisamente la violenza della spada e afferma che la via che intende percorrere non è quella della difesa, ma quella dell'obbedienza al Padre... per questo si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Attenzione però.... Il Gesù che racconta l'evangelista non è un Gesù rassegnato, passivo, inerte... niente di tutto questo! Don Bruno Maggioni, nel suo libro sui racconti della Passione, dice che per descrivere lo stato d'animo di Gesù Luca non ricorre al vocabolario di Marco e di Matteo, che parlano di sbigottimento, angoscia, tristezza, ma ricorre ad una parola mutuata dal linguaggio sportivo: agonia. Propriamente, questa parola indica lo stato di tensione dell'atleta nell'imminenza della gara o, anche, nel momento in cui, ormai vicino al traguardo, raccoglie tutte le sue forze in un ultimo slancio (...) Rispetto a Marco e a Matteo la figura di Gesù è allora trasformata. Non più un uomo "impietrito", come in Marco o "prostrato" come in Matteo, ma un uomo "proteso". Nel significato di agonia non è certo assente l'apprensione, e ancor meno lo sforzo, la fatica, la sofferenza. Tuttavia non c'è l'angoscia che paralizza. Nel momento decisivo della prova Gesù è proteso fino allo spasimo, non è ripiegato su se stesso.

Infine la crocifissione, o, per meglio dire con il linguaggio lucano, lo spettacolo della crocifissione. Pregando Gesù è entrato nella sua passione e, pregando, ha fatto della sua morte violenta un atto ben preciso: ha chiesto al Padre di perdonare chi lo stava uccidendo e ha consegnato al Padre la sua stessa vita. Nella preghiera sulla croce ha racchiuso tutta la sua esistenza, ogni uomo, ogni donna, la sua obbedienza al progetto divino. La croce, che spesso abbiamo definito insieme come il vangelo totalmente dispiegato ci dice che è proprio lì, su quel patibolo, che i tratti più caratteristici e costanti della vita di Gesù si fanno ancora più chiari. Gesù ha passato tutta la sua vita in perenne ricerca degli esclusi e dei peccatori e ora muore in croce tra due malfattori. Ha parlato di perdono e ha predicato l'amore ai nemici e ora sulla croce non solo rifiuta la violenza ma perdona i suoi crocifissori: bellissimo! Gesù non muore minacciando, ma muore perdonando in una invocazione che non è puntuale, ma ripetuta... lo suggerisce l'imperfetto: diceva... una richiesta ripetuta quindi, un'invocazione insistente. Gesù ha pronunciato la preghiera del perdono più di una volta. Don Bruno Maggioni sottolinea come Gesù non perdoni direttamente ma lo chieda al Padre. Deve essere chiaro che il suo perdono rinvia al Padre. La croce è lo splendore del perdono del Padre. Tutta la passione di Gesù è attraversata dalla misericordia: il gesto di Gesù che guarisce l'orecchio del servo del sommo sacerdote, lo sguardo a Pietro che lo rinnega, questa parola di perdono. Muore per coloro che lo rifiutano, icona vivente della misericordia di Dio. Gesù non si è mai preoccupato di sé, ma solo di Dio e degli uomini... sulla croce resiste alla tentazione di salvare se stesso... qui per l'ultima volta è raggiunto dalla tentazione; tutti (capi de farisei, soldati, ladrone) sembrano dirgli: Perché Dio non ti aiuta se sei il suo eletto? Hai voluto percorrere la strada dell'amore? Eccoti accontentato, stai morendo in croce! Ma allora questo non è il segno del fallimento di chi percorre la strada dell'amore? Non è il segno che la via di Dio è un'altra? Anche qui è bellissimo che Gesù non raccolga la provocazione e rinunciando a salvare se stesso rimanga solidale con tutti gli uomini, che nella morte, solo e soltanto da Dio possono attendere salvezza. Sulla croce accoglie immediatamente il ladrone pentito... con questo gesto Gesù compie nella morte quello che ha fatto per tutta la vita: accoglie i peccatori. Al tempo stesso mostra che la sua salvezza è diversa da quella sognata dai capi, dai soldati, dall'altro ladrone. Una annotazione importante: c'è solennità nella promessa di Gesù... qui Gesù non prega, non chiede a Dio, semplicemente garantisce! Ad una domanda che riguarda il futuro (quando sarai nel tuo Regno) Gesù risponde con una promessa che rinvia al presente (oggi).
Concludo leggendo le parole di don Bruno Maggioni: La preghiera di Gesù sulla croce è la preghiera di un povero abbandonato, smentito, che nell'assenza di ogni verifica proclama la sua unica fiducia in Dio e in quella fiducia abbandona tutto se stesso. Morire serenamente, fidandosi di Dio, è un tratto essenziale del martire cristiano. Per Luca la vita di Gesù finisce nella serena convinzione di un compimento. Serenità fiducia, abbandono sono i sentimenti di Gesù morente, per il quale, come ogni uomo, non c'è stata una salvezza dalla morte ma nella morte.

Sulla croce Gesù rivela il vero volto di Dio, Gesù è la figura dell'amore di Dio per l'uomo.