Omelia (01-04-2007) |
don Bruno Maggioni |
La croce, il dono più grande Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». La liturgia della domenica della palme ha due momenti significativi: la processione degli ulivi (ricordo dell'entrata festosa di Gesù a Gerusalemme) e la lettura dell'intero racconto della passione secondo Luca, di cui qui riportiamo solo la conclusione: la morte in Croce (Lc 23,33-46). In questo episodio Luca è attento a mostrare la grandezza morale di Gesù: egli è il modello del martire cristiano. Soprattutto è poi attento a mostrare che i tratti più caratteristici e costanti della sua vita, qui si fanno ancora più chiari. Ad esempio, la sua innocenza, particolarmente sottolineata e riconosciuta dal buon ladrone e dal centurione. Gesù ha passato tutta la sua vita in perenne ricerca degli esclusi e dei peccatori: ora muore fra due ladroni. Ha parlato di perdono e ha predicato l'amore ai nemici (6,26-42; c. 15): ora non solo rifiuta la violenza ma perdona i suoi crocifissori e muore per coloro che lo rifiutano. È l'illustrazione vivente di quell'ostinato amore di Dio di cui parla tutta la Bibbia. Gesù non si preoccupa di sé: è venuto a servire, non a essere servito. Così sulla croce non si preoccupa di salvare se stesso, ma accoglie prontamente il ladrone pentito. Si noti l'insistenza su quel «salvare se stesso»: lo dicono i notabili («Ha salvato altri, salvi se stesso, se costui è il Messia»), lo ripetono i soldati e lo riafferma il ladrone accomunato nella sua stessa condanna. È proprio questo l'aspetto più sorprendente: Gesù non si serve della sua posizione di Figlio di Dio per salvare se stesso: ne fa invece occasione di servizio e di dono. Gesù muore pregando il salmo 31, 23-46: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». È la preghiera di un povero abbandonato, smentito, che nell'assenza di ogni verifica proclama la sua umile fiducia in Dio, e in quella fiducia si abbandona completamente. Gesù è vissuto fidandosi in tutto del Padre, e con la stessa fiducia muore. Anche nell'ora delle tenebre continua a fidarsi dell'amore: non cede alla tentazione di chi vorrebbe far trionfare l'amore percorrendo strade diverse dall'amore stesso (per esempio il ricorso alla potenza o alla violenza). Sulla croce Gesù sperimenta fino in fondo la debolezza dell'amore e la sua sconfitta. Tuttavia vi si abbandona interamente. Gli uomini lo crocifiggono, ma egli muore per loro: muore perdonando come sempre ha fatto. Sullo sfondo del racconto della morte in croce c'è il tema della regalità. Una regalità che sulla croce è affermata e schernita. Luca usa una costruzione enfatica: «Questi è il re dei giudei» (23,38). È il motivo della condanna e vorrebbe significare, nella mente dei capi, la fine dell'assurda pretesa di Gesù. Invece è l'affermazione inconsapevole che proprio lì, sulla croce, la sua regalità si manifesta in tutto il suo splendore. |