Omelia (09-02-2003) |
Totustuus |
Quinta Domenica Tempo Ordinario Nesso tra le letture Di fronte alla sofferenza l'uomo è, alla fin fine, impotente (prima lettura, Vangelo); e per quanto gran parte della nostra società, orientata alla ricerca della comodità, si sforzi e, almeno fino a un certo punto, riesca a ripararci dalla sofferenza fisica, la vita sulla terra non incontra le aspirazioni del cuore. Cristo è venuto come redentore ed il vincitore del dolore e della morte. Egli non limita la propria missione di salvezza alle malattie del corpo, ma accolgie l'anima sofferente per liberare l'intera persona, con una dedizione (Vangelo) che è riflessa da san Paolo (seconda lettura). Messaggio dottrinale La prospettiva di Giobbe sulla vita è tinta di scuro, e ciò non sorprende viste le condizioni generali di vita, nel mondo antico, e data l'ignoranza da parte sua della promessa di una vita ultraterrena, che andrà ben oltre le più profonde aspirazioni del cuore umano (fu solo gradualmente che la promessa della vita eterna venne rivelata ad Israele). Per quanto deprimente possa apparire l'esperienza di Giobbe, il destino dell'uomo è ancor più serio di quanto non lo rappresenti la vita di Giobbe. Non solo centinaia, se non migliaia, di milioni di uomini e donne vivono ancora in condizioni che non sono molto migliori delle sue. Ma c'è un orrore ben più profonda che consiste nell'alienazione dell'uomo da Dio attraverso il peccato, che contempla la prospettiva di una miseria interminabile, e per la quale nemmeno noi, nonostante i nostri progressi medici e tecnologici, abbiamo un rimedio. Le prove di Giobbe e la malattia della suocera di Simon Pietro sono soltanto segno e simbolo di questa malattia incomparabilmente più grande. "La Chiesa ha sempre insegnato che l'immensa miseria che opprime gli uomini e la loro inclinazione al male e alla morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo, e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati e che è "morte dell'anima"" (CCC 403). Il fardello dell'uomo rende la nostra vita una lotta - letteralmente una 'chiamata alle armi'. Per guarirci, Gesù ha preso su di sé tutto il peso: il nostro peccato, e la nostra quotidiana battaglia per vincerlo. Egli inizia a spuntarne l'artiglio facendosene carico non contro la sua volontà, ma in pienezza di volontà radicata nell'amore. La sua intera vita - un giorno della quale è meravigliosamente e graficamente dipinto per noi dalla penna di san Marco - diventa una battaglia inesorabile contro il male che alberga in noi, in cui non si dà tregua. Successivamente, e con appena una breve interruzione per mangiare, predica nella sinagoga, guarisce la suocera di Pietro, cura quelli che patiscono indisposizioni fisiche e spirituali fino a tarda sera, si alza prima dell'alba per pregare e, rifiutando di rimanere lì a farsi acclamare per le sue buone opere, si lascia guidare dal suo amore "verso i villaggi vicini" per "predicare anche là la buona novella". Così è l'intera vita di Gesù. Egli è il più grande combattente di tutta la storia, "per noi uomini e per la nostra salvezza". San Paolo, imitando Gesù, è spinto dalla stessa forza impellente. Volentariamente, si è fatto schiavo delle necessità dei suoi fratelli e delle sue sorelle (seconda lettura). Catechesi: Le conseguenze del peccato e la battaglia spirituale cui siamo chiamati (CCC 399-409). Suggerimenti pastorali Le conseguenze del peccato originale: un dato di fatto. Possiamo capire ed affrontare in modo molto più adeguato la nostra intera situazione nel mondo, quando accettiamo il fatto che essa è profondamente segnata dalle conseguenze del peccato di Adamo. Dobbiamo tener conto della sua influenza, e prendere adeguate contromisure per contrastarlo. Sarebbe sciocco da parte di genitori, educatori, pubblici ufficiali o chiunque altro agire come se questa debolezza intrinseca della nostra natura non fosse una realtà universale e permanente. "Ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi" (CCC 407). Come se, per esempio, semplici informazioni riguardo al sesso o alla droga siano sufficienti ad aiutare i giovani a comportarsi bene, responsabilmente, senza fare, al contempo, uno sforzo per fortificare una volontà ferita, con la grazia e con i mezzi naturali, e rifiutando di consentire a un libero comportamento che, attraverso i sensi, assecondi gli stimoli che alimentano la disarmonia delle facoltà umane. Un cristianesimo fraterno e battagliero. Da Gesù e da san Paolo impariamo cosa significa lottare ogni giorno per portare a tutti il messaggio della salvezza a noi affidato. Ciò che Papa Paolo VI propose ai giovani è valido per tutti noi: "Sta a voi, giovani di oggi, rinnovare il prodigioso Messianismo avviato dalla gioventù cattolica di ieri, e svilupparlo per l'oggi; cioè, il passaggio da un cristianesimo di routine e passivo ad un cristianesimo che è consapevole e attivo; il passaggio da un cristianesimo timido ed inetto ad un cristianesimo che è coraggioso e militante; da un cristianesimo individuale e privato ad un cristianesimo di comunità e amicizia; da un cristianesimo indifferente, che è insensibile alle necessità degli altri e dei nostri doveri sociali, ad un cristianesimo che è fraterno ed è impegnato in favore di coloro che sono più deboli e di coloro che sono più bisognosi. Coraggio! Sta a voi!" (cf. Omelia, Domenica delle Palme, 4 aprile 1971). |