Omelia (08-04-2007) |
don Bruno Maggioni |
Quella corsa al sepolcro vuoto Per comprendere la grande meditazione di Giovanni sulla Risurrezione occorrerebbe leggere per intero almeno il capitolo 20 del suo Vangelo. La liturgia di Pasqua ci propone però soltanto l'episodio introduttorio, quasi preliminare. Maria si reca al sepolcro, lo vede aperto e pensa subito al trafugamento del cadavere. Ne è sicura e corre a portare la notizia ai discepoli. Pietro e il discepolo «che Gesù amava» corrono al sepolcro. Pietro entra per primo nel sepolcro e nota che le bende e il sudario, nei quali era avvolto il corpo di Gesù, non erano gettati per terra alla rinfusa, ma piegati con ordine: un indizio che già di per sé smentisce l'opinione di un frettoloso trafugamento del cadavere. A sua volta entra nel sepolcro anche il discepolo amato, e «vide» e credette. È chiaro che l'evangelista attribuisce a questo discepolo amato un ruolo importante. Ne mette in risalto la sicurezza, l'intuizione e la prontezza a discernere la traccia del Signore Risorto. Lui solo ha compreso tutto il senso racchiuso nel sepolcro vuoto e nei panni piegati. La conclusione dell'episodio è perlomeno sorprendente: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che Egli cioè doveva risuscitare dai morti» (v. 20,9). Non soltanto dunque l'incomprensione di Maria e di Pietro, ma anche la fede del discepolo amato è in qualche modo rimproverata, quasi fosse ancora insufficiente. E questo perché anche il discepolo amato ha avuto bisogno di vedere per credere. Se avesse compreso le Scritture, non avrebbe avuto bisogno di vedere, dato che la Scrittura è essa stessa una sufficiente testimonianza della risurrezione. A questo punto viene alla mente la conclusione dell'intero capitolo 20 di Giovanni, quando Gesù si rivolge a Tommaso, dicendogli: «Tu hai creduto perché mi hai veduto. Beati quelli che hanno creduto senza aver veduto». Tommaso avrebbe dovuto credere fidandosi della testimonianza degli altri apostoli, senza pretendere una personale visione. La vera beatitudine è riservata a chi crede senza pretendere si vedere. E questo è anche il caso nostro. Occorre passare dalla visione alla testimonianza. Credente è ora chi, superato il dubbio e la pretesa di vedere, accetta la testimonianza autorevole di chi ha veduto. Nel tempo della Chiesa, la visione non deve più essere pretesa: basta la testimonianza apostolica. Il che non significa che ora al credente sia preclusa ogni personale esperienza del Risorto. Tutt'altro. Al credente è offerta l'esperienza della gioia, della pace, del perdono dei peccati, della presenza dello Spirito. |