Omelia (15-04-2007)
padre Gian Franco Scarpitta
Credere, affidarsi e vivere

La mentalità sofistica degli antichi imponeva che si concepisse "verità" solo quanto constava dal punto di vista empirico e sensoriale. Non esiste per il sofismo una verità assoluta, il trascendente o il metafisico, ma è reale solo quello che si sperimenta e che si tocca con mano. Sembra che adesso di questa impostazione culturale sia succube Tommaso, il quale non accetta che Gesù sia effettivamente risorto in virtù delle testimonianze dei confratelli, ma vuole avere la certezza materiale nella sperimentazione tattica: vuole vedere, toccare, comprovare in modo incontrovertibile e categorico che si tratta davvero del Signore risorto, prima consegnato al sepolcro dopo molteplici patimenti e adesso vivo e glorioso e pertanto sembra sottostare a una concezione appunto empirica ed epistemologica, ossia (in parole povere) a una mentalità che concepisce essere reale ciò di cui si fa esperienza diretta.
Da una parte questo scettico apostolo merita riprovazione e rimostranza, giacché mostra di titubare nella fede nonostante la molteplicità degli insegnamenti dello stesso Signore che aveva più volte preannunciato tale destino di morte e di resurrezione; così pure gli si deve rimproverare la profonda durezza di cuore nel non credere nelle parole dei profeti che a Cristo si riferivano, come anche nell'adempimento delle promesse relative all'Antico Testamento di cui egli era stato edotto precedentemente dallo stesso Signore: tutti questi elementi avrebbero dovuto condurlo ad avere dimestichezza con il Cristo in modo tale da comprendere e assimilare ogni tappa della sua vita e del suo operato alla luce delle Scritture e della volontà del padre e concepire così che la Sua resurrezione non soltanto sarebbe stata possibile ma anche relativamente immediata e di essa avrebbe potuto fare esperienza da un momento all'altro. Da un altro punto di vista però no si possono imputare a Tommaso tutte le colpe, giacché egli è vittima di una concezione che imperversa presso tutte le branche del sapere dell'epoca e che non di rado è diffusa anche ai nostri giorni, che consiste nel voler ricercare ad ogni costo la verità su ogni cosa per la sola via sperimentale: io non credo se non tocco, non sento, non vedo.

Ma finché saremo avvinti da siffatta impostazione culturale non potremo mai assimilare e fare nostro il mistero della Resurrezione di Cristo, poiché esso non interpella né la scienza, né la filosofia né la razionalità ma si avvale dal solo atteggiamento libero e disinvolto della FEDE. Essa si percepisce cioè nell'apertura del cuore e nella disposizione a donarsi e ad affidarsi al mistero stesso; nella convinta apertura e nel filiale affidamento allo stesso Cristo che ci si propone come il Risorto, il che non comporta in predominio dell'intelletto ma la prevalenza del cuore.
Certamente, della nostra fede occorre dare ragione attraverso opportune giustificazioni razionali ed infatti noi possiamo legittimare la resurrezione del Cristo attraverso gli elementi inconfutabili della tomba vuota nonostante la consistenza dei marmi e delle pietre, il sudario ben piegato anziché sparso fra le bende, la costanza dei martiri che annunciano a tutti un evento (Gesù Risorto) per il quale vengono uccisi, le apparizioni del Risorto che mostra se stesso nella piena invulnerabilità e supremazia sul dolore e sulla disfatta, le catechesi convinte di Pietro e Paolo che insistono su "quel Gesù che voi avete crocifisso Dio lo ha risuscitato", tuttavia il mistero della resurrezione resta sempre tale: inconcepibile e impossibile a circoscriversi negli ambiti mentali dell'uomo e pertanto va accolto con la sola fede.
Credere, affidarsi e vivere sono quindi le caratteristiche che delineano il vero discepolo e costituiscono le condizioni basilari per cui noi possiamo appropriarci della resurrezione e realizzare che questa sia il mistero di fede per eccellenza e oltretutto non può essere che così, visto che di fronte a Dio amore è conveniente la disinvoltura del cuore molto più della raffinatezza intellettuale e sofistica.
L'episodio di Tommaso ci invita pertanto a lasciare il dovuto spazio alla parola della fede e a prescindere dalla nostra connaturale pretesa di trovare giustificazioni razionali a quello che in verità è un mistero di provenienza divina che solo nella fede può essere accolto e vissuto; molte volte è più consolante dire un semplice "credo Signore" o svolgere un piccolo atto di umiliazione e di abbassamento di se stessi e di rinuncia al vano orgoglio piuttosto che darsi a tante elucubrazioni mentali sconclusionate.
Come lasciava intendere un vecchio testo di Rahner, quella di credere può essere un agrande fatica, visto che consiste nell'accettare quanto altri rifiutano categoricamente in nome della logica e della linearità, e infatti credere e persistere nella fede non è facile e comporta non poche difficoltà; tuttavia è una fatica che vale la pena affrontare, un rischio che è bello correre in vista di un ricco obiettivo, una garanzia che ci viene data con certezza.
Sta a noi mostrare semplicità di cuore e affidamento franco e spontaneo a quello che è (e deve essere) il più grande evento di tutti i tempi, nel quale Dio da morto sconfigge la morte.