Omelia (08-12-2001)
don Elio Dotto
La benedizione e il lamento

Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. Questo saluto dell'angelo a Maria è certo familiare a tutti: quante volte lo abbiamo ripetuto, pregando l'Ave Maria. E un saluto così familiare che spesso non ne cogliamo tutta la bellezza e la densità.

Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. E cioè, traducendo meglio: Ringrazia, tu che hai ricevuto grazia, perché davvero il Signore è con te. O ancora: Gioisci tu che sei stata riempita di gioia, perché davvero il Signore è con te.

È un saluto splendido, che ci riporta alla mente quella altrettanto splendida pagina del profeta: Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio è un salvatore potente in mezzo a te (Sof 3,14-17). Saluto splendido, dunque, saluto che è, in fondo, una benedizione: benedizione per Maria, che riceve il saluto; ma, in Maria, benedizione per ogni uomo e ogni donna, che scoprono la vicinanza di Dio. Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te.

Forse possiamo cogliere meglio la bellezza e la densità di questo saluto se lo confrontiamo con i nostri saluti, con le parole che più spesso ci diciamo salutandoci. Molte volte le nostre parole di saluto sono infatti segnate non dalla gioia e dalla benedizione, ma dal lamento: ci lamentiamo di quello che non va, soprattutto ci lamentiamo di noi stessi, della nostra vita a volte difficile e complicata, e degli altri che, a volte, ci complicano ancora di più le cose. Questi lamenti danno espressione al dispiacere o al fastidio che proviamo per l'ambiguità del nostro cuore, ma insieme questi lamenti danno espressione al risentimento che quell'ambiguità facilmente genera: sentiamo la nostra ambiguità, la nostra ingiustizia, la nostra debolezza come un destino, come un peso che ci opprime, e non tanto come una colpa di cui dobbiamo rendere conto.

Proprio come fa Adamo nel racconto della Genesi che abbiamo ascoltato. Adamo anzitutto si vergogna e si nasconde davanti a Dio: confessa così, in qualche modo, il fastidio di sé e la consapevolezza di essere impresentabile. Ma, insieme, Adamo reclama la propria innocenza; o, se non proprio l'innocenza, reclama la fatalità della propria colpa, l'inganno di cui è stato vittima: La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ha mangiato. E cioè: la colpa non è mia, ma è della donna; anzi; la colpa è tua, Dio, perché tu mi hai posto accanto questa donna! Proprio come spesso diciamo noi: se gli altri fossero sinceri, certo riuscirei ad esserlo anch'io; se gli altri fossero generosi, sarei addirittura contento di esserlo anch'io. Se gli occhi degli altri fossero senza invidia, non andrei certo io a cercare motivi per guardare con occhio ostile e cattivo il mio prossimo.

In fondo, il lamento di Adamo e i nostri lamenti nascono da uno sguardo pessimista e chiuso sulla vita, uno sguardo che ci blocca e ci scoraggia: vediamo infatti che la nostra vita è inquinata fin dalla sorgente; e quindi viviamo avvelenati dal sospetto, dal risentimento e dalla tristezza.

Appunto a questo nostro lamento si oppone il saluto, la benedizione dell'angelo a Maria. Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. Una benedizione che in Maria ha raggiunto e vinto il lamento di ogni uomo e di ogni donna. Ti saluto, o uomo pieno di grazia, il Signore è con te. È con te dalla nascita, anzi da quando sei stato concepito. Il Signore è con te, perché in Gesù figlio di Maria si è fatto come te, e ha vissuto come te. Il Signore è con te, e la sorgente della tua vita è in lui: per questo sei pieno di grazia, di gioia, di bellezza; per questo sei santo e immacolato fin dall'inizio, come diceva san Paolo; per questo sei custodito fin dal principio, nonostante il male del mondo; per questo puoi sperare, anche contro ogni speranza.

Certo, davanti a questa benedizione ci viene spontanea la domanda di Maria: come è possibile? Una domanda che spesso rimane senza risposta. Ma forse non è necessario rispondere; forse basta che ciascuno di noi senta nascere in sé questo desiderio, sia pure "impossibile": il desiderio di riscoprire la vicinanza del Padre dei cieli come unica origine della nostra vita. Perché se quella è l'origine, certo la vita non può più essere incerta e triste: e noi potremmo gustare almeno una parte della gioia annunciata dall'angelo a Maria.