Omelia (21-04-2007) |
mons. Vincenzo Paglia |
Nelle tempeste della vita è facile essere spaventati e dubbiosi. La sofferenza ci sconcerta, i disastri naturali ci lasciano senza parole, così come a volte l'abisso del male che può impadronirsi degli uomini e delle donne ci rende incapaci di avere fiducia nel nostro futuro. Che umanità è questa. Sono domande lecite di fronte ai flutti che sembrano sommergere l'umanità fin dai suoi fondamenti. E' il buio totale in cui a volte ci sentiamo immersi. Eppure il Signore non è lontano da noi, anche in questi momenti di buio. Cammina fra le acque tempestose, si fa strada fra i flutti e i dubbi che ci assalgono, ma siamo noi a volte a sfuggirlo. Dice Giovanni infatti che "videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura". Invece di lasciarci consolare, placare e rassicurare, preferiamo la nostra paura, sentimento così naturale e spontaneo che ci sembra più "nostro". Più che accettare la vicinanza del Signore, che non si nega a chi lo cerca nella tempesta, preferiamo restare aggrappati alla barca delle nostre sicurezze illusorie, credendo orgogliosamente che da soli possiamo farcela a dominare ogni uragano della vita. "Sono io, non temete" sono le parole buone con le quali Gesù riporta la bonaccia e fa toccare la riva. La sicurezza infatti non è frutto della nostra forza ed esperienza, ma l'abbandono al Signore che ci tende la mano e indica la via per condurre la barca della nostra vita la porto sicuro del Vangelo. |