Omelia (15-04-2007)
don Maurizio Prandi
Un corpo che racconta l'amore

Ogni anno, la seconda domenica di Pasqua, il Risorto si ferma in mezzo a noi così come si è fermato in mezzo ai suoi discepoli, per mostrarci le sue ferite... potremmo chiamarla davvero così: la domenica delle ferite. Alla domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi: dove posso incontrare Gesù Risorto? Gesù risponde dicendo: Guardate il mio corpo, contemplate il mio corpo, ascoltate il mio corpo... là dove una persona è ferita, lì mi puoi incontrare.

Mostrò loro le mani e il costato... ripeto, un invito a contemplare quel corpo, un invito ad ascoltare quel corpo; un invito ai discepoli ma non solo, un invito ad ognuno di noi, un invito alla chiesa: ascoltare quel corpo ferito, capace di raccontare una vita spesa per amore. Quel corpo rende visibile ciò che Gesù ha vissuto e ciò per cui Gesù ha vissuto: l'amore. Il corpo risorto di Gesù parla di un amore vissuto fino alla fine e di uno Spirito che ha accompagnato tale amore fino a rendere le ferite, le ingiurie e la morte subita, occasione di ulteriore dono, di amore. L'amore è all'origine della risurrezione. La mia vita è una vita risorta soltanto se è una vita capace di amore, capace di spendersi, di rivolgersi all'altro e agli altri... capace di quei gesti semplici che sono i gesti del risorto: quelli dell'amicizia, dello spezzare il pane, del servire. La mia vita è una vita risorta se è capace di dire: ecco, qui ci sono le mie ferite... e queste ferite hanno un nome ben preciso, che per qualcuno può essere malattia, per qualcun'altro può essere abbandono, tradimento, violenza. Invece identifico la vita risorta con una vita perfetta, pulita, forte, vincente. Una grande responsabilità per noi allora, per questa nostra chiesa... essere il corpo di Gesù, corpo capace di raccontare all'uomo di oggi la bontà di Dio, la misericordia di Dio, il suo regalare la vita. Mi pare che si possa dire che è dal riconoscersi feriti, colpiti, violentati che nasce la capacità di perdonare... è come se Gesù ci dicesse: Qui ci sono le mie ferite... fate come me che ho perdonato... ricevete lo Spirito del crocifisso risorto per portare il perdono. E' significativo che l'invito di Gesù, il primo invito che Lui fa da risorto ai suoi discepoli è quello di perdonare. Il discepolo del risorto rende visibile l'amore di Dio che si concretizza nel perdono... questo vale per ogni cristiano e a maggior ragione vale per la chiesa che è chiesa del risorto. Gesù invita a fare gesti che aprono (A. Casati)... fondamentale è quel come il Padre ha mandato me... siamo chiamati a fare nostro il come di Gesù: non la condanna che rinchiude ma il perdono che apre e che fa sperimentare la pace... Mi ha colpito molto, da subito, appena letta, la prima lettura, un particolare che credo ci possa ricondurre a quanto dicevo domenica scorsa sulla quotidianità e semplicità dei gesti del risorto: portavano gli ammalati nelle piazze perché quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Nemmeno una parola, nemmeno un gesto ma l'ombra del tuo passaggio, l'ombra che dice una presenza, l'ombra che non lascia traccia se non quella di una guarigione, l'ombra che è silenzio, l'ombra che è ristoro, l'ombra che è il contrario dell'orma, dell'incidere, del segnare, del voler dire a tutti i costi: io sono passato di lì. Don Angelo Casati afferma: La bellezza di una chiesa, quando bastava un'ombra!


Gesti che aprono dicevo... ed i discepoli rinchiusi nel cenacolo per paura... per forza poi Tommaso non crede! Come fai a credere a delle persone che ti dicono di aver visto il risorto e rimangono chiuse tra quattro muri! Avevano visto il Signore ed erano rimasti chiusi, separati... quella del cenacolo era ancora una comunità sulla difensiva. Forse siamo ancora un po' troppo così nella chiesa, diamo alle persone la sensazione di essere arroccati nella convinzione di essere una comunità di eletti contrapposta ad una massa (lo ha detto lo scrittore Giuseppe Pontiggia editorialista del Sole 24 ore durante una intervista). Ne ho avuto la consapevolezza non troppo tempo fa, quando due cari amici, che si dichiarano distanti dalla chiesa cattolica, proprio in un momento di frequentazione quotidiana e di condivisione della mensa hanno letto il titolo di una scuola di preghiera mentre mi aiutavano ad impaginarla: Mangia con i peccatori. < Se non altro questi giorni ti sono serviti per prendere spunto per la tua Scuola di preghiera...hai mangiato con i peccatori e lo hai scritto... mi hanno detto. Sentono così lo sguardo della chiesa su di loro, e se quello è lo sguardo della chiesa, evidentemente anche dal prete si sentono guardati allo stesso modo, anche se è loro amico. Quanta strada devo fare, quanta strada dobbiamo fare come chiesa per far sentire le persone a casa loro... quanta strada devo fare per capire che ciò che fa toccare ai miei fratelli la presenza del Signore non sono gesti straordinari nell'ordine della potenza, ma straordinari nell'ordine dell'amore (L. Pozzoli). Torno a quanto dicevo prima: troviamo il risorto là dove ancora si ama, si perdona, si crede fermamente che l'amore è più forte della morte.