Omelia (22-04-2007) |
don Maurizio Prandi |
Resurrezioni In un suo bel testo, E. Bianchi scrive che questo non è semplicemente un racconto di apparizione del Risorto, ma è un vero e proprio racconto di resurrezione dei discepoli. Un cammino di resurrezione, aggiungo io, che tutti siamo chiamati a fare perché ciò che vivono i discepoli non lo sento poi così distante da quello che viviamo noi. Tanti passaggi e tutti egualmente importanti: il primo passaggio è quello dalle tenebre (i discepoli stanno lavorando di notte) alla luce: sul far del giorno Gesù si presentò, fermo sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Questo versetto ci suggerisce il secondo passaggio - dalla ignoranza (non sapevano), alla conoscenza di Gesù: sapevano bene che era il Signore... un terzo passaggio poi: dal fallimento, dalla sconfitta, dalla sterilità del non prendere nulla alla pesca abbondante. Infine dal non avere nulla da mangiare (v. 5), al condividere, al partecipare alla mensa preparata dal Signore Gesù. Su questo faccio subito una sottolineatura per collegarmi a quanto detto nei giorni di Pasqua e domenica scorsa: niente di eccezionale per il Risorto, niente colpi di scena, niente fuochi d'artificio, ma il preparare la tavola. I discepoli riconoscono il risorto quando egli ripete il gesto più simbolico di tutta la sua vita terrena: il servizio a mensa, mensa che non è tale se non viene completata con la fatica del lavoro dell'uomo: portate del pesce che avete preso ora... Gesù Risorto si fa riconoscere nel gesto della dedizione e del servizio, che è stato la verità del suo intero cammino. Bello questo, che la caratteristica del servizio appartenga al Gesù terreno e al Signore Risorto... è proprio vero allora che quell'asciugatoio di cui si era cinto la notte della lavanda dei piedi resta legato a lui per l'eternità: è l'identità che lo accompagna in ogni sua condizione di vita. Mi piace allora restituirvi l'ascolto di un testo, un po' lungo per la verità, di don Daniele Simonazzi che così condivide con gli ospiti dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia la riflessione su questo brano del vangelo: È bello l'incontro tra l'umanità dei discepoli e l'amore preveniente del Cristo. In fondo il Cristo non ha solo i pesci, ma anche il fuoco e il pane; questo dice una dimensione che non è solo la dimensione del cibo, ma anche la dimensione della accoglienza, la dimensione della carità, la volontà di Cristo di condividere. E tutto questo Cristo lo ha compiuto come si compie un gesto di amore che previene. Il gesto di Gesù non è un gesto che umilia, ma è il gesto di colui che pone i discepoli nella condizione di sapersi accolti, di sapersi amati. Gesù accoglie l'umanità dei discepoli e il frutto della loro pesca, dicendoci però sempre che la condizione per riconoscere la Pasqua è ancora una volta il vivere la carità. Il fuoco, il pane e il pesce sopra dicono la carità del Signore, dicono l'amore preveniente di Gesù risorto. In fondo, anche quando si va sulla strada, a incontrare le ragazze sulla strada, loro non ci sono, ma soprattutto d'inverno c'è il fuoco che dice la loro presenza. E anche se loro non ci sono, arriveranno dopo un poco, però sappiamo di essere accolti da quel fuoco che loro hanno acceso. Come dire: il modo di venire a incontrarci, a trovarci è la carità; è il modo di coloro che si sanno amati. Questi sono poi in fondo i gesti dei poveri. Il segno di riconoscimento del Signore risorto nasce dall'invito che lui fa di venire a mangiare. Sapevano bene che era il Signore. La signoria di Gesù è legata all'invito che lui fa di andare a mangiare. La sua signoria la si riscontra, ancora una volta, nell'evento eucaristico. Nell'Eucaristia a noi è dato di vivere non solo il dono che Gesù fa della sua vita, ma anche la sua gloria, la sua risurrezione. L'evento eucaristico è l'evento per il quale sappiamo bene che Gesù è il Signore. È importante che si compia questa liturgia della spiaggia. Innanzitutto perché il Signore ci insegna che la liturgia è qualcosa di profondamente legato a ciò che siamo. Sarebbe interessante vedere se tutti i gesti che abbiamo compiuto nella veglia pasquale sono gesti da noi immediatamente percepiti come parte della nostra vita. La liturgia della spiaggia ci insegna una cosa importante: che l'incontro con il Cristo è un incontro al quale dobbiamo giungere con ciò che dobbiamo offrire, ma ciò che dobbiamo o possiamo offrire non è altro che ciò che lui ci ha donato. Pietro in fondo cosa offre? I pesci non della sua pesca, perché è una pesca infruttuosa, ma i pesci frutto della indicazione del Cristo, frutto della presenza del Cristo. E la liturgia che celebrano su questa spiaggia cosa è se non: ti offriamo ciò che tu ci hai donato. Ed è importante che Gesù faccia trovare ai discepoli del pesce già sulle braci, per indicare quanto gratuito sia l'invito da parte di Gesù di portare ciò che hanno pescato. C'è anche un'altra resurrezione che emerge... la traggo da un campo scuola di due anni fa insieme ai ragazzi delle superiori... insieme a loro abbiamo detto della resurrezione di Pietro, la cui vicenda è un po' al cuore di questa pagina... dopo il triplice rinnegamento la triplice dichiarazione di amore. E' bello che qui Gesù chieda a proposito dell'amore... e non chiede in modo generico, con una domanda teorica: Che cosa è l'amore?. Domanda di poter fare esperienza dell'amore all'interno di un rapporto particolare: Pietro, mi ami tu? Non è una domanda unica, fine a se' stessa... ma è una domanda ripetuta più volte, come dire che l'amore, se serio ed autentico è sempre una domanda aperta, nella quale andare a fondo, alla scoperta di qualcosa di sempre nuovo e fresco. Tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi.Cosa è stata la relazione di Pietro con Gesù? Un'esperienza nella quale Pietro ha imparato a tendere le mani e ad essere portato. Essere portato dove lui non voleva, dove lui non ha chiesto di essere portato e non ha scelto di essere portato. Pietro pensava di svolgere una vita di semplice pescatore e invece a causa di un altro si ritrova a fare e a vivere tutta un'altra vita. Paradossalmente per Pietro questa esperienza è considerata come la massima realizzazione del suo amore per Gesù, come la massima realizzazione della propria vita: il desiderio di amore, di amare e di essere amati è certamente realizzazione e appagamento della nostra persona perché lì ci troviamo veramente realizzati, in una vita completamente consegnata, affidata agli altri. |