Omelia (06-05-2007)
padre Gian Franco Scarpitta
Il distintivo indispensabile

Le organizzazioni strutturali di una nuova società, come pure le normative e i regolamenti interni, non si realizzano immediatamente. Il gruppo infatti sulle prime si forma gradatamente: inizialmente poche persone che condividono un obiettivo e un ideale comune si incontrano per discutere e lanciare delle iniziative; ad esse se ne aggiungono altre mosse dagli stessi ideali che partecipano alle attività e alle iniziative proposte, le quali attirano poi sempre più gente affascinata dai medesimi obiettivi. Quando il gruppo comincia a contare parecchi membri e intanto procede nei suoi propositi ed ideali, allora ci si comincia ad organizzare determinando delle regole di gestione e di operatività, prima stabilite a voce di comune accordo e poi col tempo stese su carta.
Le leggi di una comunità si formano cioè soltanto in un secondo momento e hanno l'unico scopo di regolare l'andamento della comunità stessa per una maggiore disciplina, ma non sono esse a dare vita al gruppo. Ciò che forma e istituisce una comunità è infatti l'ideale o obiettivo o ancora il monito che anima ciascuno dei componenti, per il quale tutti e ciascuno si è motivati nello zelo. Altrimenti il gruppo non sarebbe tale e darebbe luogo a non pochi malcontenti e devianze.
Così avviene che la comunità degli apostoli si organizza man mano che procede nella sua missione di annunciare il Risorto: mentre ci si impegna nella missione si nota che un po' alla volta masse di uomini e donne approdano alla stessa fede e parecchie elementi si aggiungono anche al numero degli apostoli, sicché a poco a poco ci si organizza e ci si pone anche delle limitazioni e delle strutturazioni. Ma a determinare la vera formazione della comunità è lo sprone dell'annuncio del Cristo Risorto e Salvatore di cui Pietro rende testimonianza: non vi è alcuna norma o regola che istituisce la comunità degli apostoli se non quella della necessità interiore di dover annunciare il Signore e la Buona Notizia del Regno di Dio, la quale anima tutti quanti e sprona, essa sola, alla missione.
Ma la strutturazione iniziale della comunità degli apostoli la si vede soprattutto in quella che è la caratteristica pregnante del gruppo, ossia la comunione fra i membri che è scaturita dalla legge nuova ma sempre antica dell'amore: il distintivo degli apostoli non è infatti una norma scritta o uno stemma e neppure una regola composita di convivenza; piuttosto è una regola impressa nel cuore di ciascuno che impegna ad amarsi reciprocamente per realizzare la concordia e l'accettazione reciproca secondo il monito del Signore: "Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Da questo capiranno che siete miei discepoli."
Da questo e non da altro. L'amore deve essere cioè il distintivo della comunità che la qualifichi innanzitutto in se stessa, quindi in relazione agli altri e se davvero persiste l'amore fra i membri allora è certo che il successo della missione e dell'annuncio.
La prima evangelizzazione avviene infatti nella vita stessa di chi parla e soprattutto nella capacità di relazione fra coloro che hanno deciso di vivere in comune e di condividere ogni cosa, per cui se in una comunità ci si ama reciprocamente senza riserve e senza pregiudizi gli uni verso gli altri, si è di edificazione anche per coloro che ne stanno fuori.
Di contro, anche per esperienza personale di vita religiosa (non ho motivo di nasconderlo) una comunità i cui membri non vanno d'accordo e vivono da "separati in casa", omettendo la comunicazione fra di loro e l'accettazione reciproca e peggio ancora biasimandosi e parlando male gli uni degli altri non potrà che allontanare quanti la notano e disperdere il gregge che intanto in essa vi si era formato e non sarà mai attendibile per i destinatari della missione.
Le prerogative di cui sopra devono appartenere a qualsiasi comunità, movimento o associazione, ivi comprese le parrocchie e le comunità di preghiera e le associazioni caritative e missionarie nelle quali ciascuno andrebbe formato all'idea che Cristo non ha dettato il comandamento dell'amore ai nemici e agli estranei se non prima di averlo categoricamente imposto ai suoi apostoli e quanti erano al suo stesso seguito perché sarebbe ipocrita e ridicolo che amiamo gli altri mentre usiamo indifferenza fra di noi.
La legge dell'amore vuole che si sia pronti anche a rinunciare alle proprie idee personali e se è il caso anche ai propri vantaggi per cercare di venire incontro a quelli degli altri; che ci si disponga ad ascoltare piuttosto che pretendere la precedenza nel parlare, a donare quello che abbiamo con gioia e disinteresse piuttosto che a pretendere dagli altri quello che noi stessi non siamo disposti a dare; sottolineare i pregi e le virtù del fratello piuttosto che riferire a tutti i suoi difetti e fare pettegolezzi e mormorazioni. Nell'amore fraterno rientra anche la correzione fraterna, per la quale ciascuno sia disposto a cercare il bene dell'altro quando cade in errore senza con questo voler affato prevaricare.
Si tratta di una legge eterna e universale che l'Amante ha riversato nei nostri cuori e che anche da parte nostra non deve omettersi di essere riversata ai fratelli perché si sia trasparenti nel vivere in prima persona quello che annunciamo.